capitolo 2. Il paese degli uccelli.





2)     Il paese degli uccelli


 

Come ogni buon fotografo sa l’universo stellare appare come una ruota che gira intorno alla stella polare quindi  dalla scia che una stella o una costellazione lascia in, ad esempio, quindici minuti si può calcolare la sua posizione nel tempo con l’aiuto di un semplice compasso.

Nessuno è mai stato sulle stelle per accertare la  composizione e la distanza quindi quel che si dice di loro è pura invenzione, la ragione umana usa il canone come legge universale da comparare a qualsiasi fenomeno esistente e dove non può toccare con mano può probabilizzare.

La probabilità è che la Terra e per estensione il sistema solare sia una dinamo naturale.

La dinamo ha la forma di una rotazione che attraverso un ciclo frigorifero separa il segno caldo dal codice freddo, il sistema solare e per estensione l’intero universo ruotano, il sistema solare e l’intero universo sono una dinamo.

Il come questo caldo sia raccolto e distribuito è conseguenza e riguarda la fisica, la filosofia si limita all’applicazione della legge universale.

È probabile che la Terra sia una pila auto caricante cioè generi in sé l’energia per ruotare e di conseguenza far ruotare il sistema solare e l’intero universo, quindi la Terra è un punto caldo affreddato ed il sole un punto freddo riscaldato ed è probabile che rifletta a tutte le stelle  l'energia per brillare. 

 



Per quel che  dice falso o vero

Ad ogni voce non sente ragione

Parlar di questo o quello intero

A chi bene a chi male far campione.

V’è tra le stelle luce e calore

E brille lettere di parole arcane

Ruotan le sfere a tutte l’ore

Ovi e galline di cova lontane.

Oh vento d’amor il sogno spira

Mare d’onde sinuar zigzag oscene

E tutto e niente fuor dall’acqua mira

Rider danzar cantar sirene

Su ogni scoglio che stella in cielo tiene.                         

 


 

                                                                Merdino.


 

Mentre venivo giù ho rubato un uovo da sotto il culo di una gallina che stava posando per la chioccia in un nascondiglio lontano dalla sua aia. L’uovo è fresco ed adesso me lo bevo. Me non  piace rubare ma la fame è fame e non ci posso fare niente. Un me dice così, un altro se ne frega, un altro se la ride, intanto l’uovo ce lo siamo bevuto ed adesso stiamo meglio.

È quasi sera, siamo in primavera, l’aria è tiepida, negli alberi stanno spuntando le foglie e ci sono esplosioni di fiori e profumi da tutte le parti.

Mio padre era infuriato, ubriaco, dev’essere senza soldi.  A sentir le comari se la fa con un sacco di donne, brutte, vecchie, storpie, a lui va bene tutto ed i soldi gli servono. Sta storia di fare il figlio del boia mi piace proprio poco, sono scappato tanto che ci sia o non ci sia non importa.

Il bosco è un rifugio sicuro, da bambino avevo paura del buio ma adesso mi piace e vedo meglio dei gatti. Il mago dice che la natura  guarda attraverso i nostri occhi, il mago dice cose che poi mi fanno pensare, almeno si spiegasse, che vuol dire? Tutte queste piante, i sassi, gli uccelli, i pesci nel fiume, il vento, le stelle, sono dentro di me che si guardano? Beh, che storia, adesso gonfio come un pallone e poi bum! No, meglio restare così ed ogni cosa al suo posto.

Mentre scendevo il sentiero che porta al fiume ho trovato un uccello morto, un merlo nero semi putrefatto invaso dalle formiche sistemato al centro di un cerchio di pietre. Era decollato ed aveva le ali rigide e spalancate, sembrava formare la figura della lettera T. Conosco appena l’alfabeto e non sono superstizioso ma chi può averlo ridotto così? Le voci dicono che ci sono le streghe che fanno il malocchio e impagliano gli uccelli e poi…brrr, non ci credo a certe cose ma come si fa a essere sicuri? In paese non si parla d’altro che del condannato volato via dalle fiamme, stanno venendo a galla vecchie leggende, hanno tutti paura di una guerra o di qualche evento disastroso.

Adesso sono al fiume, l’acqua è turbinosa e la sera è arrivata, in cielo tra i rami ancora nudi si scorge la falce della luna e qualche stella, un po’ chiaro fanno ma non si vede da qui a lì, per fortuna conosco la strada a memoria e la potrei fare ad occhi chiusi, se la natura che guarda non si offende di non vedersi, cosa dico? È colpa del mago, che pensieri mi va a mettere in testa.

Qui ho un nascondiglio, è la casa della fata, passato il fiume al guado bisogna risalire un viottolo tra i rovi per un centinaio di metri poi arrampicarsi su una parete di roccia per altri tre, lì, cioè qui perché ci sono adesso c’è una spaccatura stretta da dove si entra in una piccola grotta a cupola calda e accogliente con le pareti ed il pavimento di pietra liscia e morbida come un materasso. L’ho scoperta quando avevo cinque anni, anche allora scappavo, tanto…di notte fuori si sentono ululare i lupi che escono a caccia ma per fortuna non sanno arrampicarsi e qui non vengono. Il buco invece l’ho trovato solo l’anno scorso, era coperto da un sasso, dentro non si vede, è troppo buio anche di giorno, è largo due volte la mia testa, ce la metto dentro e chiamo, vediamo se c’è.

 “Fata!”

La mia voce scorre giù nel buco, arriva al fondo poi torna su e risponde con voce femminile morbida e calda:

“Amor pronuncia la parola alata
Che suol risvegliar l’amata…”

 

La fata parla così, me dico una parola e lei ci fa le rime e bisogna capirla, forse conosce Dante, anche lui parla sempre in rima nelle piazze quando tiene comizio poi gli altri ripetono le sue parole, il mago dice che è poesia, me non so di poesia ma qualche volta ho provato e qualcosa è venuto, sembra un gioco, prima bisogna trovare le rime poi costruire la frase,  un rompicapo, è come far stare il vento chiuso in una scatola, mi piace giocare con le parole ma libere, all’aria aperta, come viene viene.

Rimetto la testa nel buco e dico: “Ciao fatina, sono contento che ci sei, come stai?”

La voce scende e sussurrando e gemendo di tono risale:
 

“Tutta la testa ho piena di guai
Desta con festa non sarò mai
Di star qui son stufa assai
Con aria e con vento tu parlerai.”
 

“Perché dici così, non ti sono più simpatico?”
 

“Parlar con te è antico
Di spiacer di te non fico
Di sognar di te un pico.
 

 “Stasera sei misteriosa, sai, son scappato di casa, il boia voleva frustarmi, me non mi piace essere frustato, il paese è in subbuglio, ieri il condannato è volato via, il mago non c’era, non sapevo dove andare e son venuto qui, solo tu mi capisci.”

Dal fondo si sente scorrere una risatina a cui seguon le parole:
 

“Di can il sogno ambisci
Di lingua il suol lambisci
Sul mal sperare strisci
E vuoto ardor ripisci.”

 

“Forse hai ragione ma che ci posso fare, prova tu, sembra di essere e non essere e quel che è non si sa se è o non è, sono pieno di me, me vorrei essere diverso ma alla domanda si può rispondere solo in un modo, quello e me ma me non sono così…”

Nel buio si sente uno stropiccio, uno strillo contrariato della fata poi una voce maschile di piglio deciso mai sentita prima domanda:

“Oh tu bischero, che sono codeste fregnacce?” 

La sorpresa mi lascia sbalordito, alla fata ci credo e non ci credo ma questo e di tutt’altra specie, lascio passare qualche secondo per riprendermi e chiedo:

“E tu chi sei?”

La voce ribatte adirata: “Come chi sono, tu piuttosto, che ci fai lì a quest’ora, da quanto va avanti questa tresca?”

Si sentono rumori confusi e un parlottare concitato poi la voce riprende in tono più calmo velatamente ironico: “Ho capito, sei un amico della fata, allora va bene, non ti preoccupare, rimani tranquillo…”

Si interrompe bruscamente, si sente la voce della fata strillare: “Scapp…” subito soffocata, segue un tafferuglio e poi tutto zittisce.

Rimango in attesa un po’ poi provo a chiedere: “Fata, ci sei, che sta succedendo?”

Silenzio, dal buio in fondo al buco sembra di scorgere un sottile spiraglio di luce come se qualcuno avesse lasciato una porta aperta poi si spegne anche quello e rimane il flebile eco di un gocciolio che tamburella sulla pietra.

Tiro fuori la testa dal buco indeciso su cosa fare. Me non ho paura di niente ma come si fa ad essere sicuri? Qualcosa dev’essere successo, la fata ha provato ad avvertirmi, perché vuole che scappi?

La grotta ha una seconda stanza più piccola in alto che comunica con la prima attraverso un cunicolo che sale di qualche metro. Senza pensare ci vado. Questa stanza non ha soffitto, è aperta e si vede il cielo stellato con la luna che sta tramontando dietro agli alberi della montagna. Il bordo esterno curva precipitando a strapiombo verso il fiume per una decina di metri e proprio sotto c’è un piccolo laghetto abbastanza profondo dove faccio i tuffi quando gioco a fare l’uccello.

Scappare…l’oscurità della notte copre ogni cosa sovrastata dal rimbombare del fiume, laggiù dev’essere pieno di lupi, se scendo mi mangiano di certo, quelli hanno sempre fame, se resto… sono eccitato, per un attimo immagino di essere lupo e di mordere i pericoli invisibili che mi circondano poi torno me e faccio un piano di battaglia: per il momento rimango qui poi se succede qualcosa mi tuffo e dopo si vedrà.

M’accuccio in una nicchia della parete e dopo qualche minuto senza accorgermene mi addormento e faccio un sogno incredibile: sono nel vuoto, senza corpo e di fronte ci sono tutte le stelle, cioè si vedono le stelle ma sono come intrecciate su una tonaca come quella del mago con un lungo cappello a punta anche questo brillante di stelle.

Nel vestito sembra che ci sia qualcuno dentro ma si vedono solo gli occhi da dove scaturiscono fulmini in tutte le direzioni. L’abito stellato solleva un braccio e poi lo allunga puntando una mano invisibile verso me. In quel momento mi sveglio, una mano mi ha afferrato un braccio e sollevato per aria.

Ci sono momenti che si preferirebbe che non ci fossero, questo è uno di quelli, in un attimo sono legato, imbavagliato e messo in un sacco e poi trascinato fuori dalla grotta, caricato sulle spalle da qualcuno molto grosso che si mette subito a correre. Dai rumori sento che ci stiamo allontanando dal fiume, poi tutto zittisce e sento i passi di quello che mi trasporta accompagnati da quelli di altri due procedere all’interno di un tunnel.

Provo a gridare da sotto il bavaglio ed a divincolarmi ed in risposta vengo percosso così me ne sto cheto per il resto del viaggio in attesa degli eventi con un leggero batticuore per la fifa. Sento i miei rapitori cambiare sovente direzione, in certi punti strusciamo contro le pareti della galleria, dobbiamo essere entrati nella montagna e ci inoltriamo sempre più all’interno, adesso dobbiamo essere in un posto molto grande, sento rumore di gente che parla come in una piazza, vengo scaricato senza troppi complimenti a terra e tirato fuori dal sacco.

Istintivamente cerco ancora di divincolarmi ma sono legato troppo stretto e le corde fanno male, dove sono finito? Intorno c’è della gente ma non riesco ancora a inquadrarli bene, il posto sembra di essere all’aperto sotto le stelle ma le stelle non sono al loro posto in cielo, stanno su un immenso soffitto a cupola e brillano di una luce bianchissima che illumina a giorno rendendo ogni cosa di colore latteo.  Poco lontano si sente scrosciare una cascata ed il rimbombo echeggia come dentro una grotta. Gli occhi iniziano ad abituarsi alla luce, per terra accanto a me c’è una bambina all’incirca della mia età anche lei legata che mi guarda con occhioni curiosi e spaventati. Intorno una siepe di uomini vestiti con casacche e pantaloni verdi e cappelli piumati dello stesso colore, più vicini quello grosso che mi ha portato ed altri due ancora ansimanti per la corsa, tutti stringono tra le mani lunghi e nodosi bastoni e mi guardano come lupi affamati.

Uno di quelli più vicini, un uomo sui trent’anni d’altezza media, robusto e slanciato con due grandi occhi azzurri, mi toglie il bavaglio e dopo avermi dato una pedata per far capire che non scherza chiede: “Chi sei, che ci facevi in quel buco?”

La vista della bambina mi ha inorgoglito, è bruna coi capelli folti ed arruffati, anche lei vestita di verde. Non si può provare fifa di fronte ad una femmina, rimango in silenzio e ricambio il suo sguardo sfidandolo a duello.

Una donna gli si avvicina e dice: “Lo conosco, è il figlio del boia di Casola!”

A quelle parole tutti si mettono a gridare: “A morte, facciamolo a pezzi!”

L’uomo che ha fatto la domanda alza un braccio facendoli zittire poi torna a rivolgersi a me:

“Il figlio del boia, bene, che ci facevi in quella grotta, sei venuto a spiare, lo sai che ti aspetta ora? Chi ti ha mandato?”

La bambina grida: “Non è una spia, lui è mio amico, lascialo stare!”

La guardo stupito: “Ho capito, tu sei la fata!” esclamo.

“Sì.” Risponde lei,  “Te lo avevo detto di scappare, adesso siamo proprio nei guai. Davvero sei il figlio del boia?”

“Che importa? Credevo che eri finta, con te ero un altro me, non quello.”

“Silenzio!” grida l’interrogatore e continua puntandomi il bastone: “Avanti, rispondi, chi ti ha mandato?”

Devo essere finito in un covo di briganti, l’emozione mi serra la gola, cerco di farmi forza e rispondo: “Nessuno, ci vado da me, quello è un mio rifugio e a te non ho niente da dire, liberaci subito altrimenti…”

L’uomo mi interrompe mettendosi a ridere: “Adesso dai gli ordini? Il figlio del boia, ti ho riconosciuto, sei tu che massacri i nostri compagni, quanti ne hai già ammazzati?”

“Me non ho mai ammazzato nessuno, me dispiace quando giustiziano i briganti, a me sono simpatici ma mio padre frusta e che colpa ne ho se fa il boia, non l’ho scelto me, me lo sono trovato così, me voglio fare il brigante, vi stavo cercando, adesso sono contento, finalmente vi ho trovati.”

Dalla folla si leva un mormorio di protesta cupo come un brontolio di tuono.

L’uomo continua: “Così vorresti fare il brigante, bene, questa è davvero una intenzione nobile…” cambia voce digrignando tra i denti: “e tu credi che accetteremmo tra noi il figlio di un boia?”

“Quello non sono me!” grido,  “Quello è un altro, è solo un nome, sono parole, me sono di carne e ossa e se mi prendete a fare il brigante ve lo farò vedere coi fatti!”

Il pubblico continua a rumoreggiare, sembra di essere nella piazza di Fivizzano sulla croce del boia, conosco bene cosa vuol dire quando fanno così. L’uomo si sta consultando con quello grosso e con l’altro, ne approfitto per chiedere alla bambina: “Chi è?”

Lei mi guarda crucciata e risponde: “Mio padre, mi ha scoperta, questa proprio non ci voleva, mi ha frustata per farmi parlare, ho dovuto dirgli tutto, io lo conosco bene, mi tiene prigioniera in questo buco, non posso andare da nessuna parte, avevo piacere di parlare con te, volevo dirtelo ma mi piaceva essere la tua fata e così non te l’ho detto, adesso chissà cosa ci farà.”

“Non importa, però, sei proprio carina, se vuoi continuo a chiamarti fata, fra di noi vorrei che nulla cambiasse, qualunque cosa succeda. Se non fosse che mi sono già promesso ad un'altra…”

“Chi è?” strilla la bambina guardandomi sorpresa.

“La figlia del re, ci incontriamo sempre alle esecuzioni, però…lei non lo sa e me…non so quale me si è promesso, non ti conoscevo ancora, se avessi saputo, adesso che ti ho vista di lei non m’importa più, quel me lì lo butto e a me piaci solo tu.”

“Che ci facevi con la figlia del re?”

“Niente, lei stava alla finestra con suo padre e me sul palco, ogni tanto ci guardavamo di nascosto.”

La bambina storce la bocca e continua: “Allora vedi di cambiare subito me altrimenti divento una furia.”

L’interrogatore ha sentito le nostre ultime parole. Si mette a ridere e dice: “Fossi in te non farei tanto lo spavaldo, la tua vita è appesa a un filo, adesso rispondi, hai mai detto a qualcuno delle tue visite alla fata?”

“A chi avrei dovuto dirlo, tutti mi evitano ed i miei nascondigli non li dico a nessuno.”

“Stai mentendo, so che frequenti la scuola ed il mago, con lui ne avrai senz’altro parlato.”

“No, davvero, non glielo ho detto, non lo sa nessuno.”

“Di che cosa parli col mago?”

“Che ne so?...lui insegna, l’alfabeto, le stelle.”

“Solo di quello?”

“No, qualche volta anche della gente, o del tempo, o degli altri bambini.”

“E tu naturalmente gli racconti tutto quello che sai.”

“Col mago sono me, lui è l’unico che mi tratti bene.”

“Ti sei mai chiesto perché lo fa?”

“No, che importa?”

“Con gli altri studenti hai mai accennato ai tuoi rifugi?”

“No, con loro non parlo, sono di un altro mondo e sono cattivi, mi fanno sempre gli scherzi e se provo a difendermi mi fanno frustare dai loro valletti quando il mago non c’è.”

L’uomo rimane qualche momento a meditare e continua: “Ho capito. Ammettiamo che quello che dici sia vero, tu capisci che non possiamo lasciarti vivere, potresti farti sfuggire qualche parola con il mago e per noi sarebbe troppo rischioso.”

“No, non dirò nulla, col mago parlo ma non mi è simpatico, per lui sono solo una cosa, me non sono quella cosa, lo faccio perché altrimenti mi frustano, tu non puoi capire, me non sono quel me, è tutto un'altra cosa, adesso sono me, fare il brigante è sempre stato il mio sogno.”

L’uomo scuote il capo, sorride e dice: “La nostra è una vita dura e tu sai bene quello che succede quando qualcuno di noi viene catturato, non ci possiamo permettere nessuna pietà, se il mago venisse a sapere qualcosa della tua tresca con mia figlia potrebbe far scavare l’intera montagna per cercarci e questo non ce lo possiamo permettere.”

“Il lupo conosce ogni buco del suo territorio.”

“Cosa intendi?” chiede l’uomo allarmato.

Le parole mi sono uscite di bocca senza volere. Rispondo: “Non so quale me ha parlato, certe volte…”

Quello grosso interviene agitando il bastone in aria e sbotta: “Quante parole, facciamolo fuori e che sia finita.”

L’interrogatore lo guarda fisso fin quando l’omone si calma abbassando la testa, medita un po’ e mi chiede: “Un bambino per bene non passa le notti nel bosco, che ci facevi nella grotta a quell’ora?”

“Sono scappato, mio padre era ubriaco, mi voleva frustare, da quando è volato via quel condannato dalle fiamme…”

A queste parole tutto l’uditorio zittisce ed un brivido scorre nei loro corpi. L’uomo chiede: “Tu lo hai visto?”

“Sì ma non si può essere certi, tutto bruciava, forse è stato solo il vento. Era uno di voi? Mi dispiace, me…”

“Non era dei nostri, noi non ci faremmo mai catturare vivi, non lo conosceva nessuno!”

“Allora chi?  Tutti dicevano che era un brigante.”

L’uomo si incupisce e continua: “Nessuno lo sa…ma sarebbe meglio non parlarne più, potrebbe essere…c’è una leggenda che dice…non importa, adesso basta, cambiamo discorso. Ho deciso, per il momento ti lascio vivere ma tu rimarrai prigioniero qui e se proverai a scappare ti farò subito tagliare la testa.”

Dal pubblico si leva un mormorio di disapprovazione, l’interrogatore alza il randello e urla: “Silenzio! Così deve essere, farete tutti la guardia perché non scappi.” poi si avvicina e con il coltello taglia i nodi della corda che mi lega. A voce bassa  chiede: “Che cosa intendevi quando hai detto che il lupo conosce tutti i suoi buchi?”

“Me scappato, davvero, non so…”

“Hmmm…”

Senza dir altro l’uomo mi libera dalle corde e poi libera anche la figlia.

 

Finalmente mi alzo in piedi e faccio qualche salto per sgranchirmi. Quello grosso mi viene subito vicino e dice con tono burbero: “Fa attenzione, se solo provi ad avvicinarti alle uscite le sentinelle ti trafiggeranno con le frecce.”

Lo guardo crucciato e rispondo: “Non ho nessuna intenzione di scappare, sono già scappato e volevo venire proprio qui.”

La folla si sta allontanando scoprendo una piazza quadrata simile a quella di Casola, anche le case intorno sono disposte nello stesso modo con il tempio, la torre e l’emporio che sovrastano le altre solo che qui le case non hanno tetto, si vede bene che siamo dentro una grotta quindi i tetti non servono. Il soffitto della grotta è incredibile. A fare il figlio del boia sono poche le cose che mi stupiscono ma questa…si vedono miliaia di stelle, pianeti, soli, lune e comete che sciano lungo i bordi, ogni cosa ruota e brilla di una luce vivissima.

“Come è possibile?” chiedo a quello grosso.

L’omone fa una risata e risponde: “È una magia del nostro mago. Non so perché non ti abbiamo ancora tagliato la gola ma se resterai qui lo conoscerai e presto, eccolo che arriva, preparati perché lui non so che dirà.”

“C’è un mago anche qui?”

“Cosa credi, il nostro è un paese serio, non ci facciamo mancare niente ma questo non è un mago come quegli altri, questo è un mago speciale, vedrai…”

Alla vista del mago la folla si è fermata per osservare gli eventi. L’interrogatore ha finito di slegare la figlia ed è tornato. Mi colpisce leggermente l’orecchio con il suo bastone e dice: “Noi siamo briganti, il fato ci costringe a vivere al di fuori delle leggi ma questo non significa che siamo bestie. La logica del nostro ordine ci impone di non lasciar vivere testimoni che ci possano nuocere ma tu, come la quasi totalità di noi, sei fuggito da una situazione che non ti accettava e hai fatto domanda di diventare brigante. Questo è compreso dalle nostre regole ma nello stesso tempo queste regole prescrivono delle condizioni che il richiedente deve accettare prima di venire ammesso nella compagnia.”

D’impulso faccio un passo avanti e mettendomi una mano sul petto esclamo: “Sono pronto a fare tutto quello che vuoi!”

“Aspetta a parlare, non sai ancora quali condizioni.”

“Avanti, dimmele, che aspetti!”

“No. Per il momento sei in osservazione, lo saprai quando sarà l’ora. Non ci siamo ancora presentati, il mio nome è Zoro e qui sono quello che comanda, lui…” indica quello grosso,  “è Ercole. Sembra un orso ma se non lo si fa arrabbiare è un zuccherino.”

“Ed io sono Zingar!” esclama il terzo dei miei rapitori, un tipo magro e affilato come una spada con gli occhi accesi e l’aria da burlone, togliendosi il cappello e facendo un inchino.”

 Il capo, continua: “Naturalmente questi non sono i nostri veri nomi, accettando le regole della compagnia li abbiamo cambiati come abbiamo cambiato la nostra vita, questo lo devi fare anche tu, c’è un nome con cui ti piacerebbe venire chiamato?”

Certe domande mi lasciano lì che non so che pesci pigliare, questa non saprei proprio che dire, grattandomi la testa di fronte a miliardi di risposte possibili dico: “Me non so, non so neppure come mi chiamo adesso, o prima, me mi potrei chiamare…”

“Me me…” continua Zoro,  “dev’essere un nome che comincia con me, ti potresti chiamare…”

“Merdino!” dice un tipo che sbuca fuori da dietro le spalle di Ercole, facendomi saltare di spavento. A prima vista sembra di vedere il mago della Lunigiana, è vestito nello stesso modo con la tonaca ed il cappuccio, poi guardando bene vedo che è un altro, più magro e coi tratti del viso che sporgono dal cappuccio più aguzzi. L’uomo mi guarda fisso, ha gli occhi grandi e neri con le pupille cerchiate ed i cerchi sembrano rotare ed allargarsi spingendo il suo sguardo nella  mente dove lo sento frugare dappertutto.

Per fortuna in quel momento la fata mi prende la mano e strilla, liberandomi dall’incanto: “Merdino! Che bel nome, mi piace, ti starà benissimo, Merdino!”

Sbuffando rispondo: “Me Merdino  piace poco ma se piace a te va bene.”

Zoro interviene, facendo battere il randello a terra: “E Merdino sia.”

“Hurra, evviva Merdino!” strilla Zingar lanciando in aria il berretto.”

Il pubblico è tornato indietro, non hanno più l’aria imbestialita e sembrano interessati. Molti discutono commentando il nuovo nome.

Il mago fa un passo avanti continuando a fissarmi, poi fa un sospiro distogliendo lo sguardo e con voce morbida e perentoria allo stesso tempo si presenta: “Il nostro nome è Archide, piacere di conoscerti.” Mi sbruffa i capelli con una mano poi rivolto all’omone dice: “Ercole, portalo a fare un giro, visitate il paese, fra mezz’ora fatevi trovare al mulino.”

“Come vuole.” Risponde l’omone.

“Posso andare con loro?” chiede la fata.

“Con te non ho ancora aggiustato i conti, corri subito nella tua stanza!” sbotta Zoro burbero.

Il mago interviene: “No, fai andare anche lei, è giovane, lascia che si svaghi.”

Zoro lo guarda sorpreso e con tono di chi ha capito qualcosa che non ha ancora capito acconsente: “Non mi sembra giusto…va bene, vai anche tu, i conti li aggiusteremo dopo.”

Mentre ci allontaniamo Archide si avvicina a Zoro ed a voce non troppo alta dice: “Quel moccioso ci può essere utile. Il figlio del boia di Casola, forse è il segno che aspettavamo…” fa una risatina e prosegue: “Noi sappiamo perchè il mago si interessa tanto a lui, anche le streghe lo fanno è questo è un problema serio perché se domani non tornerà a casa si metteranno in allarme.”

“Non possiamo lasciarlo libero!” sbotta Zoro,  “Sarebbe troppo rischioso.”

Il mago rimane qualche secondo pensoso e continua: “Non possiamo oppure possiamo, staremo a vedere. Tu sai quello che è successo l’altro giorno a Fivizzano. Hanno visto tutti, è impossibile pensare ad un miraggio, quel condannato è volato via dalle fiamme e questo può significare che gli Erranti sono tornati e se ci sono vuol dire…quel condannato è volato via proprio di fronte al ragazzo, forse anche loro si interessano a lui ed i metodi che usano sono sempre gli stessi. Abbiamo tutta la notte per studiare un piano, interrogheremo le stelle, domani ti farò sapere quel che è meglio per tutti.”

“C’è un'altra cosa…” dice Zoro,  “Prima ha detto una frase che mi ha lasciato di stucco, l’ha detta lui ma non sapeva quale me era stato, le parole gli sono uscite di getto: il lupo nel suo territorio conosce tutti i buchi…m’è sembrato un avvertimento.”

Il mago ride e prosegue: “Non dare troppo peso alle parole di un ragazzo, comunque hai fatto bene a dircelo, proveremo a parlargli e se sa qualcosa stai certo che ce la dirà.  

 

Me non so come dire,  sembra di essere rinato,  un me che non ero mai stato con un mondo nuovo ed affascinante da scoprire. Passando tra i briganti che assiepano la piazza questi si scostano velocemente per farci passare, qualcuno brontola ancora poco convinto del verdetto di Zoro, sono tutti giovani, tra loro ci sono delle ragazze, alcune non hanno i pantaloni ma indossano gonne corte sopra il ginocchio e sono molto carine. Il colore dominante degli abiti è il verde con tonalità che vanno dal marrone castano al giallino, sembra di essere in una foresta di alberi che camminano.

Ercole fa strada tenendo il randello sollevato, la prima cosa che noto è che nessuno mastica come fanno a Casola.

“Qui non succhiate monete?” chiedo alla fata.

“Che cosa dici, quali monete?”

“Come, non sai? L’obolo da pagare a Caronte quando si muore per farsi traghettare sull’altra sponda.”

Ercole ha sentito, si mette a ridere e dice: “Questa scemata la possono credere solo i bischeri, è superstizione per tener buono il popolino, quelle monete, nel sangue ci mescolano…se sapessi ma non ne voglio parlare, chiedilo ad Archide, forse lui te lo dirà.”

“Questo invece lo so, me lo aveva detto mia madre una volta, ci mettono il succo di papavero, i magi lo fanno arrivare dall’oriente, è un toccasana diceva anche, toglie i dolori e fa dimenticare i dispiaceri di vivere con un boia, lei ne faceva gran uso ma a me non ne dava, lo teneva nascosto.”

Facciamo il giro della piazza guardando le case e le botteghe. Ercole indica  la mensa nell’emporio dove mangiano tutti assieme, le cucine, la cantina, la sala delle riunioni, il palco per il ballo, la fucina del fabbro, il fornaio, la fontana con il pozzo…la fata mi ha preso per mano, me non credo di essere timido ma un po’ imbarazzato sì, forse perché nessuna lo aveva mai fatto prima.

“Non ti ho più sentita parlare in rima.” Le dico.

Il cuor mio palpitar non stima
Che cercar del tuo la stima…”

risponde la fata e continua: “Qui sono tutti poeti e quelli che non lo sono lo diventano, fanno anche le gare, ho imparato fin da piccola, adesso quando sono in vena mi viene naturale parlare in rima anche se qualche volta dico delle sciocchezze. Tu mi divertivi, qualsiasi cosa dicessi trovavi una spiegazione, certe volte mi stupivi anche perché non avrei mai creduto di dire quello che trovavi.

Ercole interviene:

“Nell’aia il gallo arrazzo
Di cercar gallina strazzo…” 

La fata lo rimbecca: “Questa non vale, che cos’è uno strazzo?”

Un gruppo di briganti lì vicino si mette a ridere ed in coro recitano:

“Sul panier onde va l’andazzo
In pasta lievitò un gran bel…cazzo!” 

 Al che tutta la piazza esplode in una risata schiamazzante.

La fata mi stringe la mano e dice: “Non farci caso, qui sono tutti burloni, non si può mai parlare seriamente. Tu le sai fare le rime?”

“Me ci ho provato, qualche cosa ho creato ma non me ne sono beato…me non so come dire, tutte le volte bisogna star lì a cercar la parola, me piace parlare come viene, le poesie le dico quando sono solo nella foresta agli alberi od alle stelle ma allora sono albero e stella e fruscio, brillo oppure uccello e volo o acqua e scorro o anguilla e guizzo tra i sassi e anche lupo ed allora…” forzando la timidezza le do un bacio sul collo e le sussurro: “Ti mangio!”

Ercole commenta: “Però…per essere figlio di un boia la sai lunga, dove hai imparato a parlare così?”

“Me non so, l’ho detto, non l’avevo mai detto prima.”

La fata è arrossita: “Me lo sapevo…ecco! Hai fatto dire me anche a me…nessuno mi aveva mai detto una cosa così bella, anche se non ci sono le rime.”

“Questo lo dici tu perché non le senti, forse non hai mai parlato col vento, ci sono le vocali che si intrecciano in scala e si sgranano sulle consonanti che fanno d’accompagnamento, è un suono di fruscii di lettere nelle parole come vento tra le foglie  o luce tra le stelle.”

Ercole mi guarda stupito e dice: “Per la barba di Geus, d’ora in avanti spaccherò la testa a chiunque parli male del figlio di un boia, sei un poeta nato!”

La piazza è sull’incrocio di due strade che continuano in linea retta verso i lati della grotta dividendo il paese in quattro parti. Le case sono in mattone o pietra con porte di legno e vetri alle finestre coperti da tendine ricamate a colori vivaci e sono disposte in file diritte allineate alle strade. Quasi tutte le porte e le finestre sono aperte a differenze di Casola dove è invece tutto chiuso e sprangato.

“Qui non avete paura dei ladri?” chiedo ad Ercole.

“Ti sembra strano che tra briganti non si abbia paura dei briganti? Noi teniamo le nostre cose in comune, nelle case non c’è nulla da rubare e poi perché dovremmo farlo? Non ci manca nulla, se si mangia si mangia tutti e se si digiuna anche.”

“E come fate a vivere senza un tetto sulla testa?”

Ercole spazia la mano sulla volta stellata e risponde: “Quello è il nostro tetto.”

Continuando a parlare di questo e di quello che via via appare ci avviciniamo alla parete ad est. La strada è interrotta da un ponte di legno che passa un torrente originato da una cascata che precipita dalla sommità della parete. Dopo il ponte si entra in uno spiazzo lastricato in pietra largo una cinquantina di metri dove c’è un mulino affusolato leggermente curvo e completamente bianco che la luce lattiginosa del soffitto rende simile alla luna, le sue pale luccicano di stelle e ruotano azionate dalla cascata. Oltre la strada si restringe entrando in una spaccatura della montagna.

Sul ponte c’è una sentinella, appena ci vede incocca una freccia all’arco e tenendola puntata a terra dice: “Dove state andando?”

Ercole risponde: “Al mulino, aspettiamo il mago.”

“Bene!” continua la sentinella,  “È appena arrivato un ordine di Zoro. Dice di tener d’occhio il ragazzo pena la testa e sai che lui non scherza, quando arriverà il mago passerete.”

Rimaniamo in attesa sedendoci su delle panchine ai margini della strada. La cascata scroscia alternata al ciclico battere delle pale, l’acqua incanalata dall’alveo del torrente ribolle emanando densi vapori che le luci bianche del soffitto fanno apparire come vaghi fantasmi danzanti. 

La fata spiega: “È acqua calda, certe volte bolle che si potrebbe cuocere la pasta, qualcuno dice che qui intorno ci devono essere le radici di un vulcano, qualche volta tutto trema, il torrente gira intorno al paese ed il suo calore lo riscalda, d’inverno c’è sempre un bel calduccio. Sul lato opposto precipita in una voragine e va a perdersi sottoterra chissà dove, qualcuno è sceso ad esplorare ma son tutti tornati indietro senza aver raggiunto il fondo, sembra procedere al centro della terra.”

Provo ad immaginare la scena e dico: “Forse anche il fiume lo fa, precipita senza trovare il fondo ed allora torna indietro e ridiscende dalla cascata, forse questo è il centro della terra.”

La fata guarda per aria tutti questi giri e chiede: “Ma come fa a salire? E dove si scalda?”

“Me non saprei che dire, se scende dalla cascata non sale, forse fa come in una clessidra quando la si capovolge.”

Ercole, interessato al discorso, continua: “Ma allora noi dovremmo stare metà del tempo a testa in giù con i piedi per aria.”

Me piace studiare i misteri, li vedo come disegnati su una lavagna, lo guardo un po’ e dico: “Forse in fondo l’acqua trova il fuoco, si mette a bollire e diventa nuvola. La nuvola salendo si raffredda e torna acqua e riprecipita bollente dalla cascata e continua a raffreddarsi fin quando trova nuovamente il fuoco.”

Ercole batte le mani ed esclama: “Per la barba di Geus, è vero! Questo può essere e tu sei un mago se alla tua età riesci a capire queste cose.”

La fata mi guarda ammirata e continua: “Me…adesso mi viene da dire me…mi sembra strano che sei figlio di un boia,  i tuoi occhi sono azzurri come quelli di mio padre, gli assomigli anche un poco, forse è per questo che non ti ha fatto ammazzare…sapessi, anche me certe volte mi sento figlia di un boia…”

“Quante parole…” borbotta Ercole,  “siete ancora bambini, cosa volete capire delle cose dei grandi, questo è un mondo spietato e se non si fa così si soccombe, non è crudeltà, è la vita! Comunque Merdino cominci a piacermi, ripeterò a Zoro quello che hai detto e sono certo che  piacerà anche a lui.”

Al nome arriccio il naso: “Merdino…me…uffa, dovrò fare l’abitudine, Merdino…”

Sulla strada si vede arrivare Archide accompagnato da Zoro.

Ercole si alza in piedi e dice: “Eccoli!”  Li lascia avvicinare e continua: “Merdino mi ha appena detto come fa l’acqua ad uscire calda, va giù e trova il fuoco e poi torna su vapore e ridiscente bollente, mi sembra proprio così!”

Il mago ride e domanda: “Come? Non ti ha parlato prima di una clessidra?”

Ercole si gratta la testa imbarazzato e risponde: “Veramente sì, come fai a saperlo?”

Zoro mi punta gli occhi feroce e dice: “Ho l’impressione che non hai detto tutta la verità, per sapere queste cose devi avere un’ istruzione e questa può avertela data solo il mago della Lunigiana. In che rapporti sei veramente con lui?”

Me lo sono sempre detto che coi grandi è meglio stare zitti che qualunque cosa si dica è sempre mal detta, cerco di fare un aria convincente e rispondo: “Me quello che so è questo:  il mattino del sabato devo andare alla torre quando i galli cominciano a cantare, scopare l’aula, cambiare l’acqua al lavabo e sistemare i tavoli, poi arrivano gli studenti e me mi nascondo fin quando arriva il mago e comincia la lezione, me sento quello che dice da un banco in fondo all’aula e qualche volta mi manda a prendere un libro o altre cose che servono, poi a mezzogiorno dopo che gli altri se ne sono andati devo rimettere tutto in ordine, quindi mangio qualcosa e il pomeriggio mi dice fai questo o fai quello e me lo faccio. La sera ceniamo insieme e dopo se la notte è serena andiamo dove c’è il cannocchiale, me sto alla ruota  e mi dice gira di qui, gira di là, alza, scendi...non mi insegna niente ma parla sempre a voce alta e me sento e guardo e poi tra me discuto…”

Zoro continua: “Devi essere il suo discepolo, un aspirante mago, potresti essere più furbo di quello che vuoi far credere e ci stai prendendo per il naso.

Archide interviene, fissandomi con occhi penetranti: “Merdino dice la verità ma non tutta, deve avere un me che non ha ancora detto a nessuno e questo è comprensibile. Merdino mostra un suo me ma quell’altro è molto intelligente, il nostro fratello, il mago di Luni, deve averlo capito ma noi sappiamo che non lo sta istruendo per farne un discepolo. Merdino potrebbe diventare un grande mago ma il suo destino  è altro. Sarà un piacere conoscerlo o forse no.”

Fausto dice: “Queste cose di maghi non mi vanno giù, se fosse d’accordo col mago di Luni potrebbe farci un incantesimo e perderci tutti.”

“Sciocchezze!” ribatte Archide,  “Proprio tu parli così, sai bene che gli incantesimi esistono solo nella testa di chi ci vuole credere.”

Il mago si apparta con Zoro per parlargli, la fata mi viene vicina e dice: “Sei un mago, adesso capisco perché sapevi interpretare così bene quello che non sapevo di dire, mi sa che questa storia è proprio divertente, se Archide ti prende come allievo resterai qui e potremo vederci ancora, preparati perché ho tutta l’intenzione di sposarti.”

“Me non credo che andrà così.”

“Come sarebbe?”

“Me non so, tu mi piaci e ti sposerei anche subito ma chissà come andrà, il mago ha detto bene che ho un me che non ho ancora detto a nessuno e quello…me non so come dire, ma forse… ho un presentimento che le cose andranno in un altro modo e noi non potremo far niente per evitarlo perché sarà come essere sballottati dentro una tempesta.”

“Sei misterioso e quello che dici non mi piace ma a fare la figlia di un brigante si imparano molte cose e non ci si sorprende di niente, me…ti faccio il verso, quello che voglio voglio e mi considero già sposata a te, qualunque cosa succeda…
 

Fiamma volerà sull’ala
Compagna all’altra ala.” 

Detto questo mi abbraccia e mi bacia.

Me mi fido poco delle donne, a fare il figlio del boia non ci si fida di nessuno ma questa non mi era mai successa e mi sento un altro me che ricambia l’abbraccio ed il bacio.

Zoro ci separa: “Ehi, voi due, dove credete di essere? e tu…” dà un tenero scapaccione alla figlia,  “non ti permettere di baciare nessuno senza il mio permesso.”

Ercole, abbracciando e baciando il randello, recita:
 

“Gallo canta il mattino
Con voce da bambino
Foco e furor il sole sale
Di sognar non è mai male
Tosto pigola alla sera
La realtà che ben si spera.
 

Per la barba di Geus, il mondo è sempre lo stesso, come vorrei tornare agli antichi ardori della fanciullezza!”

Archide interviene chiudendo la parentesi: “Ora andate, lasciateci soli.”

Guardiamo qualche secondo il gruppetto che si allontana poi Archide mi prende una mano e ci incamminiamo verso il ponte. La sentinella ci lascia passare chinando la testa e salutando ossequioso il mago. Me mi guarda di sottecchi ed in risposta gli faccio una pernacchia lasciandolo sbalordito. Ci dirigiamo verso il mulino, è una cosa incredibile, la volta della grotta inizia poco sopra ed è piena di stelle che brillano, l’acqua della cascata sembra latte e scroscia sulle pale frangendosi in miliardi di gocce scintillanti che precipitano a terra come una pioggia di stelle. Il tetto del mulino è collegato al soffitto stellato e ruota ai giri delle pale facendolo rotare come negli ingranaggi del cannocchiale di Casola.  I muri sono   bianchi e luminosi, sembra proprio di entrare nella luna.                  

 

                                 Il mulino


 

Me sono abituato al mago della Lunigiana, a sentire la gente è il più importante, comanda anche al re, quando passa tutti si inchinano e si fanno da parte, hanno soggezione ed a veder fare così è venuta anche a me, quando sono con lui ho sempre un po’ fifa. Con questo è uguale, un mago qualunque sia è sempre un mago, i loro modi sono affabili ma non si sa mai quello che pensano veramente, come una vipera che sonnecchia al sole.      

Me sembra proprio di essere in un altro mondo e non faccio in tempo ad aprire la bocca per stupirmi di una cosa che la devo subito riaprire per un'altra. La stradina che porta al mulino e coperta di una sabbia fine che la luce fa luccicare di riflessi lattei, è tiepida e morbida e sopra stagna una nebbia altrettanto luminosa che al nostro passaggio si scosta volatilizzandosi in treccioline e riccioli di vapore, sembra di camminare sul burro circondati dalla panna.

Il mulino, non fosse che è curvo ed affusolato e ha le pale, somiglia alla torre di Casola, la porta si apre ed entriamo in un grande salone rotondo diviso in quattro parti con al centro la scala a chiocciola per andare di sopra. A Casola le stanze sono divise da muri e me so solo quello che c’è nell’aula, qui non ci sono muri ma stradine filate ai lati da gorgoglianti rivi fumanti che dalla scala si irraggiano tutto intorno con la principale che porta all’ingresso.

Dai rivi si alzano sbuffi di vapori luccicanti di latte che illuminano la sala, certi simili a rami carichi di foglie e frutti che cambiano ogni volta forma altri ad ali di uccello e tutti, gli alberi e gli uccelli, iniziano a parlare con voce gracchiante da pappagallo, ognuno una sua parola, nella confusione si sente:  “Ciao!” “Benvenuto!” “Qual buon vento?” “Cosa desidera?”  Detta la parola svaniscono come bolle di sapone.

Archide alza una mano e grida: “Silenzio chiacchieroni, non vedete che c’è un ospite?” e poi chiude la porta.

Come per incanto tutto zittisce continuando a sbuffare in silenzio. Il mago ride e chiede: “Ti piace?”

“È una magia!” rispondo.

“Se vuoi chiamarla così. C’è il trucco ma non si vede, prova a scoprirlo.”

Rimango un attimo pensoso, me non lo vorrei dire ma me l’ero già chiesto e forse lo avevo capito. Mi avvicino alla porta e la apro, le piante e gli uccelli iniziano subito a schiamazzare, la chiudo e zittiscono.

“Ci deve essere qualche congegno qui.” Dico indicando la porta.

Archide mi guarda compiaciuto e continua: “Il nostro fratello di Luni deve divertirsi molto con te, il tuo è un ingegno raro, dev’essere un piacere averti come assistente.”

“Me non so, me non voglio fare il mago.”

“E cosa vorresti fare?”

“Il brigante.”

“Vorresti dire rubare, grassare, ammazzare? Come un boia…”

“Me non so ma il mago non lo voglio fare e neanche il boia e neppure il servo e neanche fare il nobile mi piace, me piace fare il brigante senza ammazzare nessuno.”

“Quella del mago è un arte…” continua Archide con voce suadente,  “occorre una grande sapienza e la capacità di vedere oltre i limiti dello spazio, tu hai talento naturale per ciò, fare il mago ti eleverebbe al di sopra della massa, plebaglia o nobile che sia.”

“Forse, me non sembra, tutti dipendono dal mago, è come una prigione intorno alla quale tutto gira,  me  piace fare il brigante, libero, dove mi pare.”

“Una pri-gio-ne in-tor-no al-la qua-le tut-to gi-ra…” ripete Archide sillabando come se masticasse le parole, si lecca le labbra, fa schioccare il palato e deglutisce ad occhi socchiusi. Rimane qualche secondo in silenzio concentrato sul sapore e dice: “Questa poi…è proprio la definizione che cercavo…” Ride e con tono paterno continua: “ho capito, l’ideale romantico di un bambino che sogna di avventure, tesori da scoprire, belle damigelle da salvare e draghi feroci da fare a polpette… purtroppo la realtà è molto diversa e dovrai disilluderti…senza fretta…non ho ancora cenato, ti va di mangiare qualcosa con me?”

“Me non so, se vuole.”

“Certo che voglio, vieni, la tavola è già pronta.”

Ci dirigiamo verso la scala centrale, intanto mi descrive la stanza. A sinistra dell’ingresso, dove a Casola c’è l’aula, anche qui ci sono tavoli e panche disposti però come in una taverna col bancone a fare da cattedra e tanti libri alle pareti, tutto bianco, anche le copertine, a destra un orto fitto di quadratini coltivati ad erbe e fiori di tutti i colori che emanano un profumo misto di dolciastro e selvatico da far girare la testa, di fronte è tutto ingombro di macchinari e congegni che non ho mai visto con una grande macina simile a quella di un mugnaio, tutti ruotano o sbuffano o stantuffano con cigolii soffici appena percettibili.

La scala sale serpeggiando intorno ad una colonna di pietra rotante, i gradini si muovono verso l’alto seguendo i giri della colonna, Archide sale sopra uno e mi invita a fare altrettanto e così veniamo trasportati nella zona superiore.

Qui il soffitto è curvo e affusolato e termina a punta dove c’è un globo acceso che illumina la stanza. Appena entrati un gran tavolo rotondo diviso in dodici spicchi con in mezzo una grande sfera di cristallo dentro alla quale si agita un fitto miscuglio di vapori colorati si sposta coprendo la botola.  Sugli spicchi, disposte su caselle ognuna al suo posto ci sono delle statuine raffiguranti esseri fantastici quasi tutti alati decorati in modo così realistico che sembrano vivi.

Le pareti sono completamente ricoperte da scaffali zeppi di bottiglie e fiaschi di vino. Il profumo del vino impregna tutta la stanza.

Su un lato c’è un tavolo apparecchiato, questo è semplice ma è pieno di vivande che mandano un profumino da leccarsi i baffi. Seduta al tavolo c’è una donna, subito non la noto perché è tutta vestita di bianco e si confonde con i luccichii lattei della stanza, è pallida, anche lei sembra fatta di latte ed ha un lungo cappello conico in testa terminante con un ciuffo di piume bianche lunghe sottili e vaporose.

Al nostro ingresso si alza. Archide dice: “Mora, ti presento Merdino, un nuovo acquiso della compagnia…se saprà meritarselo. Merdino questa è Mora, fa attenzione perché è una fata ed anche un po’ strega, conosce tutti i segreti delle erbe.”

Mora fa dondolare il cappello che emette un leggero scampanellio dalle piume in alto e  continua: “Benvenuto Merdino. Devi essere molto importante se il mago dei maghi ti ha portato fin quassù, non lo ho mai fatto con nessuno.”

Archide ribatte: “Merdino ha tutta la stoffa per diventare mago ma lui dice che non gli piace, vuole fare il brigante a modo suo e forse ha ragione.”

Mora mi punta gli occhi addosso. È poco più alta di una bambina, ben proporzionata, ha il viso incipriato dai tratti fini con le labbra sottili ed i denti che brillano, l’abito le aderisce al corpo esaltanto le sue curve mature e provocanti, sembra una bambola, dimostra una trentina d’anni ed a dispetto del pallore ha gli occhi nerissimi puntinati di stelle penetranti come lame.

Dopo avermi esaminato accuratamente dice: “Il figlio del boia di Casola…il nostro fratello di Luni piangerà lacrime amare per averlo perduto.”

Me comincio a sentirmi imbarazzato, coi maghi bisogna sempre comportarsi in un modo e non so mai quale me sono con loro, comunque non me. Capisco che sono in un bel guaio, so bene che coi briganti non si scherza, prima neanche lo immaginavo che avrei potuto fare il mago e adesso ho quasi l’idea che forse era meglio se non mi facevo catturare, forse se mi tuffavo subito e poi salivo su un albero i lupi li avrei fregati…”

Mora dice: “Merdino è come un uccello che ha visto la gabbia, teme di perdere la sua libertà e non sa ancora che la libertà è solo la misura della gabbia…adesso bandiamo dubbi e timori, venite a tavola.

Ci sediamo. Archide si è calato il cappuccio scoprendo la testa. I suoi capelli sono lunghi alle spalle,  grigi striati da venature bionde,  il naso sembra il becco di un falco, la bocca carnosa con i margini delle labbra che tendono all’insù contornata da fini baffetti ad elsa di pugnale girati in avanti ed un pizzo arricciolato che gli allunga il mento.  I cerchi nei suoi occhi scuri sotto i folti sopraccigli non smettono un attimo di rotare quando mi guarda.

Mora alza il coperchio di un vassoio scoprendo un cosciotto di cervo arrostito ancora fumante mentre il mago mesce riempiendo i bicchieri di vino chiaro e profumato.

Durante la cena parliamo di questo e di quello. Me sono poco abituato al vino, il boia lo tiene chiuso a chiave e solo la sera del sabato il mago mi dà mezzo bicchiere mescolato all’acqua. Finito il primo bicchiere mi sento allegro e coraggioso e non penso più a quale me sono, la lingua si sbriglia e rispondo a tutto quello che chiedono, parliamo di Casola, della gente, del mago di Luni, di quello che faccio con lui e dei miei rapporti cogli altri studenti. Me dico tutto com’è perché tanto le bugie non le so raccontare, le dimentico subito e poi non ricordo più cosa ho detto. Mora e Archide, alle mie risposte, si guardano spesso negli occhi ridendo.

Finita la carne Mora scopre un vassoio con una torta di mele così profumata da far venire gola ai sassi. Mi serve una fetta nel piatto ed al primo boccone chiede: “Di tua madre non hai ancora parlato, la conoscevo, so che è morta, era molto bella prima di sposare tuo padre, le volevi bene?”

Faccio andare giù il boccone e rispondo: “Me non so cos’è volere bene, lei aveva sempre da fare e me non mi guardava, quando mio padre non c’era venivano quelli del paese ed anche tanti di quelli che passavano per la strada e quando mio padre c’era urlava sempre e me preferivo cambiare aria.”

“Non deve essere stato facile per lei…” commenta Mora.

“Quando l’hai conosciuta?” Le chiedo.

Mora rimane un attimo pensosa, beve un sorso di vino e risponde evasivamente: “Così…più che altro ne ho sentito parlare, non ricordo più come si chiamava.”

“Gertrude, ma la gente la chiamava Picia.”

“Come la Picia di Delfi.” Ribatte Mora.

“Chi era?”

“Una pazza!” risponde Archide e continua ridendo: “Le donne sono tutte pazze, quello che faceva tua madre lo fanno tutte le donne di Casola quando i mariti sono alle cave, non mi sembra un gran male, ognuna sbarca il lunario come può. Forse lei era una strega e faceva gli oroscopi e le fatture, cosa ne sai se non hai mai visto?”

“Me non so, l’aria da strega ce l’aveva, una volta una comare con cui bisticciava glielo aveva detto e lei si era spaventata ed era corsa a chiudersi in casa. Me lo so, ne ho visto bruciare tante a Fivizzano.”

Archide ribatte: “Purtroppo il nostro fratello di Luni usa le maniere forti con loro, noi lo comprendiamo, le streghe creano disordine e distolgono il gregge dalla retta via.”

“Siete veramente fratelli?” gli chiedo.

Archide con voce gravemente seria risponde: “Tutti i maghi lo sono fra loro come una persona sola, la nostra è una regola le cui origini risalgono alla creazione del mondo.”

“Allora sei suo amico, come fai a stare fra i briganti?”

“Questo è un altro discorso. Noi ed il mago di Luni eravamo discepoli dello stesso maestro poi nacquero divergenze sui metodi dell’insegnamento che non reputammo all’altezza del vero sapere e ci discostammo dall’ordine per percorrere una nostra strada ed ora siamo qui.”

“Questo posto è incredibile!” esclamo, eccitato dall’alcol,  “Non avrei mai immaginato una cosa simile.”

“Sì…” dice Archide,  “un giorno ti racconterò la storia, ora abbiamo in mente altro. Per essere accolto tra i briganti dovrai sottostare ad una prova ma prima ti vogliamo fare l’oroscopo e interrogheremo le stelle per conoscere il tuo futuro.”

“Me questa cosa piace poco, so già che se non mi accoglierete tra voi dovrò fare il boia, preferisco se mi ammazzate.”

Mora interviene: “Tu non puoi sapere nulla, il destino dell’uomo è scritto nelle stelle e le stelle girano, girano… il destino non si può cambiare ma sapere in anticipo un dato evento se infausto può aiutare a evitarlo ed in questo caso era destino che andasse così.”

“Me non so.” Rispondo confuso dallo sguardo stellato di Mora.

Archide continua: “Assisti il mago di Luni al cannocchiale, le stelle le devi conoscere bene.”

“Un po’, qualche volte le ho anche guardate nel cannocchiale ma mi piacciono di più quando sono libere nel cielo ed allora ci parlo, più che altro mi piacciono le loro storie, il mago le racconta.”

“In che giorno sei nato?” chiede Mora.

“Me non so bene, compleanni non ne ho mai festeggiati ma una volta mia madre aveva detto che ero nato la vigilia della nascita di Giulio Cesare, in inverno quando il sole passa il quarto e le giornate tornano ad allungarsi, diceva che mi aveva messo nel presepe nella culla di Ermete, diceva che m’avrebbe fatto venire un...” mi interrompo imbarazzato.

“Vuoi dire un cazzo grosso così!” continua Mora con voce da gatta allargando le braccia.”

“Il giorno di Pan Dragon, l’ultimo dell’anno.” Dice Archide ridendo. “Bene, andiamo a sentire quel che dicono le stelle. Anche noi abbiamo un cannocchiale ma è molto diverso da quello di Casola, siamo sicuri che ti piacerà.”

Ci alziamo e mentre Mora inizia a sparecchiare ci spostiamo all’altro tavolo.

Me sono un po’ brillo ed anche il mago lo è, ha gli occhi lucidi e ride in continuazione, forse lo diverto, chi lo sa? Il tavolo è rotondo diviso in dodici spicchi e su ogni spicchio ci sono tre caselle con sopra delle statuine colorate. Nel mezzo, su un leggero rialzo intorno al quale è attorcigliato un serpente che sembra vero con la testa rialzata e le fauci aperte c’è un globo di cristallo pieno di fumi colorati e scintillanti che si muovono lentamente sfumando in tonalità sempre diverse.

Un bel giocattolo e me sono proprio interessato. Le statuine hanno forme che, non so come dire…sembrano ricordare i personaggi delle leggende che ho piena la testa, nella stanza del cannocchiale di Casola il mago me ne ha raccontate tante mentre guardavamo le stelle e tante ne ho sentite raccontare per strada, riconosco i segni dello zodiaco e le costellazioni che ci stanno intorno, non faccio fatica a capire che tutte insieme rappresentano il cielo stellato.

Archide mi lascia guardare in silenzio per qualche minuto poi chiede: “Ti piace?”

“Sì, sono le stelle, le ho riconosciute, è una mappa, il mago a Casola ne ha una grande solo che lì le figure sono solo disegnate.” Indico una statuina con la coda di pesce e la testa di un satiro barbuto con un tozzo corno conico che sporge dai riccioli sulla fronte,  “Quello è il Pan Dragon, il mago ha detto che è il mio segno ma non mi piace tanto, quello è l’arciere che gli dà la caccia e quello l’acquario e quelli là sono i pesci e poi…”

Archide mi interrompe: “Ho capito, sei un esperto, il nostro fratello di Luni si deve divertire molto con te, noi saremmo veramente compiaciuti di averti come allievo…se questo è scritto nel tuo destino. Tu sai che cos’è un oroscopo?”

“Sì ma ci credo poco, il mago qualche volta li fa e me ho capito, dicono e non dicono e non si è mai certi di nulla.”

Il mago ha cambiato espressione ed è diventato gravemente serio, assente con il capo e continua: “Quello che dici è vero ma ci sono tante cose che non sai, un oroscopo viene fatto per essere ascoltato da orecchie che vogliono sentire quel che vogliono sentire e quello bisogna dire ma ci sono altri aspetti conosciuti solo da pochi eletti che nulla hanno a che fare con quel che si dice. Ogni stella in cielo rappresenta un punto preciso sulla terra, paesi, città, regni, imperi, ogni cosa è   rappresentata come di fronte ad uno specchio…ce ne sono che brillano di più e di meno, nel mucchio confuse ed appena percettibili ce ne sono infinite altre, sono rappresentati tutti i popoli e se si potessero avvicinare si potrebbe riconoscere ogni persona una ad una ed anche gli animali, gli alberi, i mari, i fiumi…ai movimenti delle stelle si intersecano  i movimenti del Sole della Luna e dei pianeti ed ognuno al suo passaggio influisce sugli avvenimenti dei segni attraversati riflettendosi sulla Terra, poi ci sono le comete, quelle appaiono ciclicamente ed ogni volta portano sconvolgimenti sulle stelle che toccano ed infine le ecclissi che sono i fenomeni più importanti, da quelle di Sole e di Luna a quelle che i pianeti fanno con le stelle, piccole e grandi che siano, che solitamente nessuno nota ma che per gli esperti dicono più di qualsiasi altro fenomeno si osservi. Il passaggio dei pianeti nelle costellazioni muta la figura del segno aggiungendo o sottraendo significati che si possono interpretare con una tecnica segreta che i magi si trasmettono dall’inizio dei tempi, questi movimenti si possono calcolare in anticipo e questa è una scienza che nulla ha a che fare con i responsi degli oracoli e le chiacchiere del popolino.”

 Mora è venuta a sedersi vicino ad Archide un poco scostata dal tavolo, ha tirato fuori da una borsa l’occorrente e senza dir nulla si è messa a ricamare su una tela al tombolo con ago e fili colorati.

Me sono un po’ imbarazzato, a fare il figlio del boia non so mai che me essere con gli altri e come parlare perché nessuno mi prende seriamente e qualsiasi cosa dica è come se non la dicessi ma l’ebbrezza del vino mi ha un po’ fatto dimenticare che me sono comunque e mi viene da dire: “Le stelle sono un argomento interessante, è vero che ci sono tante cose che non so però…me immagino e anche se non so so, come dire…non ho mai parlato di queste cose, a Casola col mago sto sempre zitto e ascolto, ogni tanto mi chiede l’opinione ma me mi fido poco di lui e dico solo quello che…” non trovo le parole e Mora le dice per me:

“Quello che vuole sentire…sei davvero un bel tipo, sono certa che lo stai facendo anche adesso. Prima hai detto che parli con le stelle, che cosa vi dite?”

A questa domanda mi sento punzecchiare, come se fosse venuto fuori un altro me più attento che risponde: “Questo non mi va di dire, non saprei neppure come fare.”

“Suvvia!” continua Archide interessato,  “Almeno un piccolo accenno.”

“Ebbene…non è che ci parliamo veramente, me sono lì e loro stanno lassù, è una cosa immensa e brillano e me…se devo essere sincero non ci diciamo nessuna parola…e più un capirsi…è come se…questo non mi va proprio dire, è solo affar mio.”

Mora spinge fuori dal tombolo l’ago, lo tira su con un lungo filo argentato, rimane un attimo a guardare i luccichii riflessi dall’ago per aria poi guarda me e con occhi da gatta dice: “Come se anche tu fossi una stella e ti crucci di non brillare come loro, è questo?”

Me rimango in silenzio qualche secondo per vedere se quello che ha detto Mora è vero poi rispondo: “Sì e no, qualche volta e così, altre mi sento brillare più di loro perché loro possono solo brillare mentre me…” le parole le ho dette di getto ma si ritraggono subito e continuo: “perché mi fate tutte queste domande? mai nessuno si è interessato a me, non sono abituato a parlare con altri, me…voglio fare il brigante e non sapere più di essere il figlio del boia e di dover fare il suo mestiere da grande, questo è quello che voglio.”

Archide applaude e dice: “Un mago nato. Sei ancora un bambino, quel che vuoi ora è un desiderio che cambierai con gli anni chissà quante volte, volere è una cosa che purtroppo si scontra con le necessità che la vita impone giorno dopo giorno ed in questo caso non si parla di volere ma di quel che si può fare per non soccombere alle avversità. Sono certo che tu lo devi aver già capito altrimenti che vita sarebbe? Prova a immaginare un futuro con te solo di fronte a tutte quelle stelle, sarebbe un eterna solitudine.”

“Questo è vero, me lo so, è proprio quello che dico sempre alle stelle…però il mago non lo voglio fare, me…voglio fare il brigante, libero, dove mi pare, quando mi pare, come mi pare.”

Archide ribatte: “L’intenzione è buona, ti capiamo perfettamente, i servi legano il padrone in un rapporto di interdipendenza che cancella ogni libertà, una prigione intorno alla quale tutto gira, sono parole tue, ma come ho detto sei ancora un bambino e forse ti ricrederai…adesso proveremo ad interrogare le stelle sul tuo futuro e sarai proprio tu a farlo, anche se la cosa non ti piace sei un mago e non puoi opporti al tuo destino, noi non decidiamo per noi stessi così come un lupo o un gatto non può decidere di essere lupo o gatto, è la natura e nel nostro caso una continua ascesa alla conoscenza infinita.”

“Me non so fare gli oroscopi.”

“Sono certo di sì anche se non lo sai ancora. Tu conosci la storia del Pan Dragon?”

“Me non mi piace…il mago a Casola dice che è un giorno solo e che non sempre c’è, si vede appena, dice che la figura prima bisogna immaginare un corno poi veder venir fuori il resto, me ho provato a immaginare, il corno rimane in cima come un cappello e sotto c’è uno che esce dalla bocca di un pesce, si vede solo metà, a questo punto e come se uscisse da due parti e non si capisce più bene, il mago dice che era un bambino cattivo che non ubbidiva ai grandi ed allora venne punito e trasformato in un drago brutto e così Geus lo mise tra le stelle perché tutti gli altri bambini potessero vederlo e diventare ubbidienti, ho sentito altri dire che era il traditore di Giulio Cesare e che il pesce l’avrebbe mangiato per sempre per fargliela pagare, è l’ultimo giorno dell’anno, il più corto, poi a mezzanotte Pan Dragon muore e tutti fanno festa e subito dopo rinasce Giulio Cesare e le giornate riprendono ad allungarsi però questo non bisogna dirlo forte altrimenti torna Attila…”

Archide fa una risata e dice: “Sciocchezze! Tu ci credi?”

“Me non so, è quello che dicono tutti, il traditore si chiamava Nerone ed era brutto e grasso ed allora ammazzano un cappone o una capra nera e di notte la mangiano come fa il pesce e poi rinasce Giulio Cesare, me vorrei conoscerlo questo Giulio Cesare, se rinasce perché non si fa vedere in giro? Una volta l’ho chiesto al boia e lui mi ha frustato ed allora non l’ho più chiesto. Le stelle le conosco ma il giorno dopo ci sono ancora quindi non sono morte, forse è per quello che Giulio Cesare non si fa vedere.”

“Sciocchezze…” continua Archide,  “favole che il popolino si tramanda da chissà quanto tempo, sono certo che tu devi aver parlato con quelle stelle, che cosa ti hanno detto?”

I maghi sono proprio così, sembra che sappiano tutto quello che uno fa. Me non mi piace parlare di queste cose, è come se avessi una fifa dentro che sta chiusa e non vuol venir fuori, cerco di farmi forza e rispondo: “È vero, me le chiamo le figlie del boia e immagino che siano mie sorelle, le dico che il boia è solo una parola che contiene tutti quelli che vengono ad assistere alle esecuzioni, che quelli sono il vero boia  che si divertono a veder torturare i condannati. Me sembra proprio che questo sia un mondo boia.”

“E le stelle cosa rispondono?” chiede Mora interessata.

“Questo non è facile da dire…le stelle non parlano con la voce come facciamo noi, loro brillano e la loro luce è…come un orchestrina, suonano, una musica…bisogna capire, non sono parole, sono…sensazioni, qualche volta allegre, qualche volta tristi, loro sono sempre tristi ma forse sono me che le vedo così.”

Archide ha alzato la testa, mi fissa con aria sorpresa e chiede: “Tu le stelle le senti suonare?”

“Sì…qualche volta, nelle notti più serene me sto su un sasso con un ramo in mano, hanno tutte un suono diverso e le faccio suonare a bacchetta, ci sono i tamburi, le trombe, i cembali ed anche altri suoni che mi invento da me, quelle più luminose cantano, fanno i vocalizzi, quando cantano tutte insieme fanno i tuoni, sembra…non so come dire, non conosco la parola, e una grande gioia, tutto il cielo…”

“Abbiamo capito…” continua Archide con gli occhi accesi che fanno scintille,  “una perla rara…ma noi non ci sorprendiamo, tu ti consideri una nullità e non riesci a vederti, ci sono cose che non si possono dire, si possono solo capire e forse un giorno le capirai, ne siamo certi. Ora ti vogliamo raccontare un’altra favola. Tu eri presente quando il condannato è volato via dalle fiamme, che cosa hai pensato?”

“Me…nulla, che dovevo pensare? è quello che ho visto ma come si fa a essere certi? La gente dice che era un diavolo, uno che viene  a raccogliere i morti per portarli all’inferno, si son messi tutti a succhiare monete per la fifa, dicono che Attila sta per tornare e me li conosco bene, quando fanno così è meglio stare alla larga.”

Archide si alza, va ad una parete a prendere una bottiglia poi torna al tavolo, la stappa e riempie i bicchieri che nel frattempo Mora ha posato sul tavolo. Beviamo qualche sorso e dice: “Il vino fa buon sangue e scioglie le briglie ai misteri che teniamo nascosti, abbiamo tutta la notte davanti ed è meglio trascorrerla con piacere perché di domani non c’è certezza.” Tira fuori una pipa da una tasca, la riempie di erbe secche con gesti lenti e meditati, la accende, tira qualche boccata soffiando nell’aria voluttuosi cerchi di fumo profumato e continua:

“Esiste un’altra storia e te la voglio raccontare. Parla di dodici re guerrieri di regni dimenticati che vivono fuori dallo spazio e dal tempo e solo in  determinati momenti si incontrano tutti insieme ed in quei giorni si apre una porta ed allora possono entrare in questo mondo e vengono a guardare quel che succede. Sono tutti dei burloni e si divertono a fare scherzi ma non fanno mai male a nessuno, loro si disinteressano di quel che succede quaggiù. La leggenda dice che questi re hanno poteri magici e possono prendere l’aspetto di chi vogliono incarnandosi in uomini o animali, hanno il dono di muoversi nel tempo e stare in un posto oggi da un altro giorno, in questo modo si rendono invisibili e conoscono tutti i segreti di quel che avviene quaggiù.”

Provo a immaginare la cosa e dico: “Ho capito, sono i figli di Geus, quelli che si erano ribellati e Geus aveva cacciato all’inferno per poi adottare Giulio Cesare come unico figlio. Vorresti dire che adesso potrebbero essere qui che ascoltano?”

“Perché no?” risponde Archide,   “Ma è meglio non nominarli invano,  loro non hanno nessuna pietà di se stessi e tanto meno per gli altri. Le storie che si raccontano in giro sono favole tramandate a voce dall’alba dei tempi, nel corso dei secoli sono avvenute guerre e sconvolgimenti, popoli si sono mescolati ad altri popoli aggiungendo nuove credenze  che le hanno modificate ed adattate alle esigenze di quelli che comandano.  Questa è politica, le credenze del popolino sono stampate nelle stelle e l’immagine delle stelle è immutabile e si riflette nel nostro mondo dandogli forma. Noi magi ci siamo arrogati il controllo delle stelle e dell’interpretazione delle loro figure plasmando in questo modo il comportamento degli uomini, da giovane eravamo come te, creduloni a tutto quel che si diceva, fu proprio quando ci accorgemmo che tutto il sapere dei magi si basava su menzogne che abbandonammo l’ordine e siccome dal nostro ordine si può uscire solo in un modo per non venire ammazzati ci rifugiammo in questa grotta e ci unimmo ai briganti.  Le stelle raccontano sempre la stessa storia ma sono cambiati i significati, quel che prima era buono è diventato cattivo e di conseguenza quel che era cattivo è diventato buono. La storia originale dice che questi dodici re sono come una persona sola, un “Unico” rappresentante della loro unione che ha forma puramente astratta ed esiste esclusivamente come ideale perché nella realtà si trova altrove. Questo Unico è rappresentato da un tredicesimo re imprigionato quaggiù per un debito che ognuno di loro deve pagare a turno quando viene il momento. Le stelle nel cielo sono la rappresentazione di quei mondi, i segni  dello zodiaco sono i dodici re ed il Pan Dragon il tredicesimo. Quando il tempo si ricongiunge in un unico giorno  si apre una porta sulla montagna del cielo e i dodici  vengono a trovare il loro fratellino sfortunato ed all’occorrenza aiutarlo.”

Me provo a immaginare e dico: “Che storia, se Pan Dragon è re perché si deve sacrificare?”

“Loro non hanno pietà, la favola che ti ha raccontato il mago di Luni ha un fondo di verità, si servono del nostro mondo come esempio per far stare buoni i loro sudditi che vedendo quel che succede quaggiù sono sempre tutti ubbidienti. Questa è politica, forse un giorno capirai.”

“Me ho capito benissimo, sono come quelli in piazza a Fivizzano intorno al patibolo, dei boia!”

Archide ride e continua: “Più o meno…tu lo vedi come un male ma la forma di questo male è un bene perché in quei mondi sono sempre tutti allegri e non esiste miseria. Il popolo è volubile come il mare e come il mare alterna tempesta alla bonaccia, i metodi non si discutono, quel che conta è il risultato. Noi conosciamo bene questa storia e sappiamo che quando quei re si fanno vedere annunciano sempre qualche cataclisma ed anche il popolo lo sa anche se ha dimenticato la storia originale, per questo si sono spaventati.”

“Me non so…me non mi sono spaventato, anzi…me avrei bruciato tutta la piazza.”

“Parole, devi imparare a non odiare, l’odio distoglie la ragione dall’analisi obiettiva dei fatti e chiude gli occhi alla verità, un mago rimane sempre impassibile di fronte a qualsiasi cosa.”

“Me non sono un mago! Allora quel condannato volato via era uno di quei re…adesso capisco, è avvenuto tutto così velocemente che non ho avuto il tempo di spaventarmi, le fiamme si sono gonfiate e sembravano le ali di un uccello che battevano poi mi sono venute addosso e prima di toccarmi sono volate verso il cielo, ho sentito come una mano di fuoco che mi sfiorava, sembrava una carezza ma non mi ha bruciato…questo loro fratello imprigionato quaggiù deve essere da qualche parte, tu sai dov’è?”

Archide mi guarda fisso e risponde: “Questo nessuno lo sa  ma potremmo chiederlo alle stelle, loro senz’altro lo sanno.  Le immagini delle stelle sono immutabili e si specchiano nel nostro mondo riflettendone tutti i segreti, è come se ogni costellazione fosse una pagina su cui è scritta ogni cosa che avviene quaggiù, la pagina non cambia, quel che cambia sono le parole che ci sono scritte sopra. Adesso ti mostrerò un nuovo gioco, tu conosci il cannocchiale di Casola, anche noi ne abbiamo uno ma il nostro è completamente diverso.”

“Come è possibile? Qui non vedo tubi e neanche la ruota per girarlo.”

 Parlando le statuine sul tavolo si sono animate come se ognuna avesse dentro qualcosa trattenuta dall’involucro di terracotta come dal guscio di un uovo e volesse venir fuori il pulcino, il globo al centro del tavolo si è acceso di una luce lattea che aumenta sempre di più, i fumi all’interno stanno svanendo ed al loro posto sta comparendo una notte stellata come non avevo mai visto. 

 

Archide mi lascia guardare il cielo stellato che prende forma dentro il globo poi dice: “Il nostro fratello di Luni ti deve aver insegnato molte cose, sono certo che devi conoscere l’astrologia.”

Me sono sbalordito, che si potesse far stare le stelle dentro una sfera è una cosa che neanche immaginavo, senz’altro deve esserci il trucco, sembrano lucciole che volano ed ognuna prende il suo posto nelle costellazioni, le statuine sul tavolo vibrano tutte e le loro figure sembrano trasferirsi nella sfera, si vedono le stelle unite da una sottilissima ragnatela luminosa che nella loro vicinanza brilla di più dando forma a immagini fantastiche che assomigliano alle figure dello zodiaco ed a altre ancora più incredibili, l’immagine si sta formando, per il momento è confusa e non si può descrivere bene. La domanda di Archide mi sfiora come se le sue parole provenissero da un altro mondo che in questo non possono essere sentite con le orecchie ma solo guardate. Me sembra di sognare e a essere sincero ho la sensazione di un pericolo nascosto che mi avverte di non fidarmi troppo di Archide e di fare attenzione a quello che dico, forse sto davvero sognando oppure la fata mi ha fatto un incantesimo e mi credo cose che non esistono veramente oppure quello che sto vivendo sta avvenendo in un altro tempo che non è adesso ma nel futuro e  forse Archide potrei essere me fra quarant’anni e allora me chi sono? Comunque non posso essere certo di nulla, cerco di dominare la fifa e rispondo:

“Il mago non mi insegna niente, quello che so lo so da me guardandolo e sentendo quello che dice, so che l’astrologia è una cosa difficile che solo i maghi possono capire, me ho capito che bisogna avere tanta fantasia e saper inventare le storie e poi raccontarle ai contadini che sono tutti ignoranti e credono alle cose senza chiedersi se possono essere vere o no solo perché le credono i nobili, me vedo le stelle che girano intorno alla stella polare, so che ogni costellazione rappresenta un mese dell’anno quando è in una  posizione che durante il giorno ci passa il sole. Il mago ha detto che la Terra dove siamo noi sta ferma e tutto ci gira intorno, me ho provato a immaginare ed ho visto che potrebbe essere la Terra a girare e così si capisce perchè il sole, la luna e i pianeti sorgono e tramontano mentre invece le stelle non sorgono e non tramontano mai ma girano sempre come una ruota fissa nel cielo, allora mi sono chiesto: se giriamo come fa la stella polare a stare fissa nel cielo? Al mago non l’ho detto ma lui una volta mi ha risposto senza volere, mi aveva fatto immaginare che il naso si allungava fino a toccare la stella polare e che questa era la cima della montagna del cielo e se fossi stato capace di arrampicarmi sul naso fin lassù avrei trovato il carro dove Geus tiene un occhio per vedere tutto quello che fanno gli uomini e le stelle intorno  sono una ruota del carro e l’altra ruota sta nel cielo del mondo sotto terra e queste ruote sono il tempo, si possono vedere i giorni, i mesi, gli anni, i secoli, sia quelli passati sia quelli futuri e non si fermano mai proprio come fa il tempo. Me  ho immaginato e capito che se il tempo gira intorno non va ne avanti ne indietro, è un punto fermo come la stella polare ma come fanno le stelle a girare non l’ho ancora capito, me immagino ci deve essere un collegamento con la Terra e che la stella polare gira insieme al mio naso mentre giro con la Terra e le stelle girano intorno a lei come fa la macina del mulino tirata dall’asino e allora deve fare  un cammino in tondo come se ci fosse una sfera di cristallo invisibile nel cielo che riflette il girare della Terra  proprio come…”

Il globo ha iniziato a splendere come la luna piena, ora si vede bene, le stelle sono calcate contro i bordi ed hanno preso la forma della sfera.  Me sono sbalordito perché sembra che ci sia solo uno spicchio del globo acceso che gira così velocemente da sembrare  che ci siano due ruote che si rincorrono con due stelle polari al centro che seguono la linea dell’equatore che girano in verticale ed altre due fisse ai poli sopra e sotto che girano in orizzontale. La figura sembra seguire le fasi della luna e la luce è tremolante e palpita come un cuore perché una volta è piena poi cala e si spegne e poi s’alza e si accende ed è proiettata da un faro al centro della sfera brillante come il sole. Anche la luce del sole è intermittente, la figura è coperta e si nota appena ma sembra avere uno schermo che gli ruota intorno come una maschera frammentando la luce che dà forma alle stelle, forse rappresenta la Terra.

Archide ride e dice: “Un effetto ottico decisamente spettacolare che come vedi si può rappresentare in piccolo dentro questa sfera che sembra magica ma in realtà e un semplice gioco di specchi. Anche noi un tempo ci siamo chiesti perché le stelle giravano ed abbiamo cercato le risposte progettando e costruendo questa macchina.”

Me sono senza parole, quello che Archide ha detto ha rinforzato la sensazione di essere un altro me in un altro tempo e questo può essere un futuro dove vedo quel che sarò o che potrei diventare. Il vino mi ha dato alla testa, decido di non berne più e dico:

“Me forse ho capito, può essere solo se la Terra si specchia nel cielo dove la sua immagine è la stella polare, la stella poi manda la luce alla ragnatela ed accende le altre stelle trasmettendo la rotazione, ma allora…no, questo non ci posso credere, come è possibile?”

Archide ride e dice: “Sei sulla strada buona, continua a fantasticare, prova a rispondere da te.”

“Me non posso crederci ma prima lo hai detto, nelle stelle sono rappresentati tutti gli uomini, i paesi dove vivono e…allora sono i popoli che girano intorno alla stella ed ogni volta si ritrovano al punto di partenza…”

Archide continua: “Qualcosa del genere, tu hai detto i popoli ma potrebbero anche essere le loro idee, questo è un discorso complesso che non si può esprimere a parole, l’immagine è un effetto ottico che potrebbe nascondere altri aspetti che non appaiono visibili come ad esempio un’ andata e ritorno delle figure che ruotano solo apparentemente ma in realtà cambiano la loro forma riflettendosi nello spicchio o specchio successivo senza entrarci veramente, fanno una metamorfosi progressiva rimanendo sempre le stesse o meglio la stessa stella, la centrale che trasmette la luce.”

“Me ho capito!” esclamo colpito dall’intuizione che mi è appena venuta,  “è come un solfeggio cantato, la voce è sempre la stessa ma ogni nota sale di un tono.”

Mora alza la testa dal suo ricamo e dice: “Sorprendente! Conosci la musica, dove hai imparato?”

“Me ho fatto tutto da solo, prima ho visto suonare i pifferi nelle strade poi nel bosco ho preso una canna e ci ho soffiato dentro e l’ho lavorata fin quando ha cominciato a suonare, poi ci ho fatto dei buchi e da come li tappavo con le dita il suono cambiava e ho provato fin quando le ho fatto fare il solfeggio come fanno i cantori quando cantano, poi mi sono stufato e non l’ho più suonata perchè… una volta il mago aveva detto che la musica era la chiave per trovare la pietra filosofale che trasforma le pietre in oro, me ero interessato perché se avevo l’oro non avrei più dovuto fare il boia ed allora suonavo alle pietre ma queste rimanevano sempre le stesse e l’oro me lo sognavo solo ed allora ho smesso.”

“La pietra filosofale!” esclama Archide rapito dalla parola,  “il sogno di ogni mago…l’arte di mutare la materia…circolano molte leggende a proposito, un sacco di fandonie ma che comunque celano una verità…l’anima che si nasconde in ogni pietra, la corda ferma che toccata emette vibrazioni capaci di dar forma e mutare  la materia. Noi abbiamo parlato con molti dotti ma mai come ora ci siamo interessati al discorso. Senza volere abbiamo centrato l’obiettivo.”

Sposta dei pezzi sulla scacchiera allineandoli alla sfera e conclude: “La macchina è pronta, ora  possiamo azzardare il tuo oroscopo.”

Continuiamo ma è come se fossimo sempre al punto di partenza, quello che ha detto Archide mi ha risvegliato l’interesse per la pietra filosofale, se è sulla stella polare la stella polare a sua volta è riflessa dalla Terra quindi può indicare dov’è…nello stesso tempo la sensazione si è rinforzata, se sto sognando potrebbe essere una trappola mortale, le statuine sul tavolo sembrano rinchiudere la vita, forse un tempo erano bambini come me che il mago aveva attirato nel suo covo e poi trasformati in pietra. Forse la pietra filosofale sta di fronte a me, è il globo con le stelle dentro e come può trasformare la pietra in oro può anche trasformare i bambini in pietra, forse quello che vedo è una rappresentazione di tutti i me che ho dentro, come le statuine che riflettono la loro figura alle stelle…forse possono esserci altri motivi che per il momento riesco solo ad intuire senza dargli forma, intanto vedo sempre più chiaro che la macchina di Archide mi assomiglia, o meglio assomiglia ai me che mi frullano nella testa, intuisco il pericolo ma nello stesso tempo ne sono attratto, se sto sognando prima o poi mi sveglierò, meglio però fare attenzione perché potrei anche non svegliarmi più ed in tal caso rimanere per sempre imprigionato nel sogno… Archide e Mora stanno parlando ma non sento le loro voci, ora capisco cos’è l’oroscopo, mentre temevo quel che temevo si avverava, sono come quelle statuine e la mia immaginazione sta entrando nella sfera, me non ci posso credere, non sono me a entrare, è una cosa che sogno, me sono seduto al tavolo  ma lascio che l’immaginazione entri perché comunque sono proprio interessato di vedere quel che succede.

 

 

 


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