Capitolo 5- Contra Punctum.



      4)   Contra punctum.      (La vera storia del dottor Faust)

 

Uno zampillo di sangue accompagnò le ultime parole e scese scorrendo giù per il canale verso l’esercito sterminato di morti che ci seguiva. Avevamo seguito la favola con attenzione godendoci le raffinatezze stilistiche dell’autore senza però rimanere sorpresi. Dalla figa della storia non usciva più sangue e le sua labbra stavano contraendosi e vibravano di conati quasi fosse in procinto di partorire.

Il rabbino era seduto sulla riva col corpo chino e sogghignava silenziosamente da sotto il cappuccio, Esopo guardava con occhi vuoti davanti a sé rispecchiando quello che vedeva. Il silenzio gravava come un macigno sospeso sui nostri pensieri, lo rompemmo dicendo: “Una rivolta di schiavi e poi arrivò Attila a sistemare le cose ma prima ci fu una guerra civile che esaurì ogni possibilità di difesa. Della storia conosciamo solo le menzogne ma ogni menzogna ha in sé un grumo di verità che la rende probabile, qualcosa di simile a quel che scrive Tacito di Vespasiano ed al mito di Alessandro Magno, alla sua morte l’impero si sgretolò ma i generali che aveva messo a capo delle province rimasero e perpetuarono il nuovo assetto politico. Fu Attila il padre dei nobili, fu lui che li creò. Una rivolta di schiavi divisi da liberi e non liberi, un ritorno di Spartaco ma con un finale diverso e i non liberi presero il potere cambiando le lettere del loro nome in nobili. Una mentalità condizionata da secoli di  schiavitù, forgiata per essere quel che è.”

Facemmo scostare Esopo per dare una solenne pacca sulla spalla del rabbino e esclamammo: “Come i tuoi ebrei!”

Il rabbino sussultò al colpo e ribattè: “Tu vaneggi, non vedi la necessità dialettica, continui a ragionare in termini di bene e di male come quegli schiavi.”

“Questo è quello che sembra ma noi andiamo oltre le nostre parole e non stiamo affatto giudicando: il totem preumano, la superbia, il palo dov’è impalato l’ebreo dal cui sangue che cola si nutrono i nobili inglesi messi ad esempio per il mondo, una banca che nutre un movimento d’opinione di drogati per trascinare la storia al suo ripetersi.”

Il rabbino rise emettendo un nitrito e disse: “Ebbene, questa è la volontà di Dio, lui creò il mondo e dispose per esso. Tu non ti puoi opporre alla storia perché contraddiresti la sua volontà e  sai cosa intendo.”

“Una parola non è la forma, siamo d’accordo. Mettiamola così, siamo noi, l’uccello, il cavallo politico ed il porta zecche, la figura è estetica, sono i nostri vestiti che stonano, dovremmo protestare con il sarto che li confezionò, se è quello che intendi. Questo viaggio deve continuare, lo vedi anche tu che le zecche stanno per finire, come credi di fare senza di loro?”

“Questo è affar tuo, sei tu l’uccello…” rispose ambiguamente il rabbino.

Staccammo una zecca ad Esopo e ce la facemmo scoppiare in bocca, il sangue ce la addolcì, lui ci guardò sospirando con gli occhi gonfi di lacrime  e noi gli chiedemmo:

“Esopo, la tua è angoscia, vorresti dire  che c’eri anche allora?”

“Perdonatemi…” balbettò il servo piangendo,  “Sì, a quei tempi dirigevo la banca dei Medi a Firenze ma andavo spesso a Casola per vedere il mago della Lunigiana e prendere ordini.” Guardò il rabbino e continuò: “Reverendo, ricorda?”

Il rabbino alzò una spalla crucciato e non disse nulla. Noi ci rivolgemmo a Esopo e chiedemmo ancora pur conoscendo la risposta: “Quindi sai come andò a finire?”

“Perdonatemi…ma come? Lei…un uomo dotto, un…filosofo…perdonatemi…” si arrestò un attimo per soffiarsi rumorosamente il naso con due dita e continuò tra le lacrime: “Ma come? Glielo ho appena raccontato, vuole che ricominci?”

“Vorresti dire che Merdino non uscì  dal labirinto del Minitauro?”

“Perdonatemi…lei prima ha detto che poteva aver trovato un’altra uscita, perdonatemi…m’ha fatto sperare…”

Noi facemmo il collegamento ma non eravamo certi del modo, in un mondo di parole significate a priori anche la morte è un pregiudizio etichettato, poteva essere una morte sociale ed in tal caso poteva essere stata decisa dopo, forse per un imprevisto…avevamo l’esempio per il confronto e la cosa ci stuzzicava.

Esopo continuò: “Conoscevo Merdino, era un ragazzino, l’avevo visto qualche volta sul palco del boia ad aiutare il padre, era…perdonatemi, non so come dire, aveva un fluido, qualcosa che…io, dentro di me…perdonatemi…non avevo mai smesso di cercare l’uccello e quando lo guardavo…in mezzo a tutto quel sangue…non so se può capire…era come una sensazione, come se sentissi un richiamo…la notizia della sua morte venne comunicata al mago proprio mentre ero con lui a discutere di soldi…ricordo che impallidì e mi congedò subito frettolosamente ordinandomi pena la testa di dimenticare quello che avevo sentito…rabbino, glielo dica lei.”

Il rabbino sghignazzò sornione e disse: “Non puoi essere certo di nulla, la cosa poteva essere stata prevista e voluta proprio come è andata.”

“È vero ma da chi?”.

Merdino aveva rotto la sfera dell’immaginario, sentivamo l’indecisione della storia a proseguire, impostata la causa le probabilità si aprivano ad un’esplosione di effetti che coinvolgevano gradatamente tutto il mondo di allora per ripetersi al futuro. La trascendenza aveva esaurito la sabbia e doveva girare la clessidra per un nuovo ciclo della storia. Ci sentivamo chiusi in una prigione inesorabile, continuare era la sfida ma non vedevamo la direzione da prendere. Fissai il punto dell’immagine, a quei tempi i computer non erano ancora stati inventati e la definizione esatta la possiamo vedere solo adesso, parole chiuse dentro lo schermo di un computer che si evolvevano in una narrazione lasciando dietro di sé una lunga scia di lettere, parole che racchiudevano in sintesi la figura complessa dell’uccello arlecchino della specie preumana. Provammo a tastare il terreno  e domandammo ad Esopo: “Il corpo di Merdino venne ritrovato?”

Il servo si passò una mano sugli occhi velati e poi la alzò a visiera per guardare:

“Perdonatemi…No, anzi…nessuno ne parlò almeno per il momento ma poi…non è che sappia molto, in quei giorni stavo definendo con il mago i dettagli per il mio trasferimento a Londra dove il banco voleva ampliare la filiale. Erano tempi difficili, i paesi erano sovraffollati, la miseria spingeva torme di affamati per le strade a chiedere l’elemosina, tutti vaneggiavano la fine del mondo. Perdonatemi, io…la fame è una cosa che…lo chieda alle mie zecche, loro sanno…”

Guardò il rabbino per chiedere una conferma, il prete evitò lo sguardo sbruffando, Esopo si raccolse acuendo la vista e continuò: “Perdonatemi, poi…allora le dico quello che so…o non so…molti nomi sono stati cambiati e non è facile ricordare…il giorno dopo che al mago fu annunciata la morte di Merdino  nel mulino che riforniva il pane a Casola ed ai paesi vicini avvenne uno feroce delitto, il mugnaio e l’intera famiglia vennero assassinati e la cosa creò un enorme scalpore. Gli sbirri fecero le indagini ed in pochi giorni saltò fuori il colpevole, almeno così si disse allora, poi…perdonatemi, erano tutti pazzi…arrestarono un uomo che viveva d’elemosine nell’ospedale dei cattolici. Lo ha visto nel sogno…il dottor Faust, questi era stato un tempo primario dell’ospedale poi venne travolto da uno scandalo e…la cosa ebbe una risonanza in tutto il mondo…perdonatemi, c’erano di mezzo anche regine e mogli di ricchi mercanti…era molto ricercato e abile nel suo mestiere, aveva ideato una terapia che si basava su uno strumento di sua invenzione, la siringa…perdonatemi, era una peretta a stantuffo con la forma di una T, la usava per fare i cristeri d’oppio e per questo era stato soprannominato il Cristo…inoltre girava voce che avesse un pene enorme e forse era quello che usava come peretta visto il successo che aveva con le donne ed anche con molti uomini. Quell’ospedale era un manicomio ma i ricoverati lo chiamavano il Paradiso.” 

Si interruppe un attimo vagando gli occhi vuoti nel ricordo e continuò: “Un bel giorno si venne a sapere che aveva dato generalità false e che in realtà era figlio di Arminio, un generale dell’esercito tedesco che aveva portato al massacro una legione di italiani durante una missione in Asia. A quei tempi era tutto un mondo e italiani e tedeschi si chiamavano con un altro nome, adesso sembra, ma allora…questa cosa aveva creato una divisione nell’esercito perché i tedeschi rifiutavano l’accusa rigettandola al comando italiano che aveva ordinato l’impresa senza valutarne i rischi. Il generale tedesco era stato giustiziato e questo aveva innescato una miccia che…poi…perdonatemi,  il falso medico si dimise ma rimase a vivere nell’ospedale, c’era chi diceva che continuava ad esercitare in segreto ma erano solo voci…una volta lo vidi, stava in una capanna tra le ville dei malati, questi erano tutti parenti di nobili o ricchi mercanti presi dal male del lupo provenienti da ogni parte dell’impero…stavano intorno a lui come scimmie imitando ogni suo movimento.  Fu la sua esecuzione, perdonatemi, una cosa…per evitare che il condannato volasse via come era avvenuto l’ultima volta il mago aveva ordinato che venisse inchiodato alla croce. Questa la eressero fuori le porte del Paradiso di fronte la piana di Vigneta, la notizia aveva fatto scalpore e fin dal giorno prima cominciarono a radunarsi folle di spettatori, arrivarono a miliaia, perdonatemi…c’erano anche moltissimi nobili, avevano eretto i loro palchi sulle mura dell’ospedale, su tutti spiccava quello del re ma la regina non c’era. Per fatti avvenuti in passato che la vedevano coinvolta con il condannato era stata mandata ad Asti e Caterina era andata con lei. Tutti si aspettavano un miracolo come l’altra volta, quel medico aveva una grande fama, lui aveva…una pietra, nessuno osava toccargliela perché c’era una maledizione… perdonatemi,  leggende…io non so…avevano paura, dicevano che…forse potrei confondere, ne ho visti tanti e…comunque lo portarono al patibolo, la piana era gremita, si vedeva gente assiepata anche sui colli vicini. Il boia aveva un aiutante nuovo che visto da lontano poteva sembrare Merdino, era più grosso ma nessuno ci fece caso. Il condannato venne portato su un carro insieme alla pietra e questa quando passarono davanti all’aiutante del boia rotolò giù ed andò a fermarsi ai suoi piedi. Il ragazzo la raccolse e la alzò…era una pietra semisferica con la superfice irregolare, nera, cava all’interno, sembrava di vetro, la cosa la videro tutti e ci fu un silenzio e poi…il medico venne inchiodato alla croce, nudo con solo una fascia che gli copriva i genitali, era vecchio ma ancora molto robusto, il boia non lo torturò, gli diede qualche frustata per insanguinargli il corpo e lo lasciò lì a morire. In quei giorni erano stati catturati anche due pericolosi briganti, la notizia era passata in secondo piano e vennero crocifissi ai suoi lati, questi avevano le membra distorte dalla tortura e gli era stata tagliata la lingua, uno aveva il volto tumefatto dalle ferite ed era irriconoscibile.

 Nella calca, come avveniva spesso a quei tempi, c’erano malati, paralitici, sordomuti, ciechi ed anche morti su portantine alla ricerca di un miracolo, si credeva che i condannati vicini alla morte entrassero in contatto con Geus e che potessero intercedere in qualche modo ma il medico, dopo quello che era successo nell’ultima esecuzione e per la sua fama ne aveva richiamati a migliaia e tutti si accalcavano ai piedi del colle con folle speranza. I briganti morirono dopo poche ore invece lui passò il giorno e la notte ed il mattino dopo era ancora vivo, la folla nel frattempo era aumentata, sembrava un mare nero agitato di tempesta. Fu all’alba che cominciarono i miracoli, ciechi che vedevano, storpi che camminavano, un morto si alzò dalla lettiga acclamandolo figlio di Geus a braccia tese… andò avanti fino alla sera quando morì… allora, per evitare che la folla lo facesse a pezzi per avere una sua reliquia un cordone di soldati aveva circondato la zona, gli diedero un colpo di lancia nel costato che videro tutti ed appena fu buio lo deposero dalla croce e portarono via.

La cosa continuò con strascichi impressionanti, la notizia dei miracoli fece il giro del mondo, in Germania l’esercito quando apprese che avevano giustiziato il figlio di Arminio diede inizio alla ribellione che portò alla guerra civile, poi, perdonatemi…era la fine di un mondo, tutto sembrava incendiarsi…a Casola avvennero cose che…non so, quella pietra, l’aiutante del boia non era Merdino ma tanti non lo avevano mai visto e lo presero per tale, lo circondavano per chiedere miracoli, iniziarono a seguirlo ovunque andasse…lui parlava stando sopra la pietra ma ci furono fatti che diedero inizio alla leggenda di un altro Merdino perché quelli che lo conoscevano avevano capito che non era lui. Cominciarono a circolare altre pietre del tutto identiche alla prima, i proprietari dicevano di averle comprate proprio da Merdino, l’aiutante del boia negava di averle vendute, erano in tutto dodici, in breve si ritrovarono in cerchio nella piazza di Casola ognuno sulla sua pietra ad insultarsi e ad imbonire la ressa che li guardava e poi ognuno prese la sua strada con una folla di postulanti che lo seguiva. Il resto… perdonatemi…il mago affrettò i preparativi e dovetti partire per Londra ma questa è un'altra storia.”

Guardammo la figura, la pietra, il macigno che gravava, il suo trasferimento da un mondo all’altro, il modo era spettacolare e la sintesi ci divertiva. Demmo una pacca sulla spalla del rabbino ed esclamammo: “Cosa sarebbe senza di te!”

Il rabbino ci puntò l’unico occhio facendolo saettare e rispose aspro: “Tu stai giocando col fuoco, il fuoco brucia, fa attenzione.”

“Fuoco contro fuoco si spegne…” rispondemmo senza riflettere.

Vedevamo l’ineluttabilità del fato e nello stesso tempo sapevamo che eravamo solo un sogno sognato da un sognatore che non lasciava nulla al caso. La nostra attenzione si era concentrata sul macigno, la nostra cultura era vasta e spaziava su ogni campo dello scibile umano ma la sentivamo in noi  come qualcosa di immensamente cretino, un giudizio che pesava come tale. Il nome non è forma ed il macigno cercava di sovrapporsi ad esso. Noi sapevamo che era solo questione di pazienza, di saper aspettare ingannando il tempo che ancora restava per il compiersi del sogno. Collegammo il macigno alla pietra che sostituì Zeus nello stomaco di Crono e che poi il Tempo vomitò insieme agli altri fratelli ingoiati, quel Crono doveva avere uno stomaco che non digeriva.  Sviluppata l’immagine l’associammo ai comizianti dell’antica Roma, se mai quella Roma sia esistita, che recavano notizie raccontandole a pagamento da sopra una pietra.  A quei tempi i giornalisti non erano ancora stati inventati e si chiamavano Pasquini, i passa parola, i battitori di tam tam della giungla preumana.

La figa della storia si contrasse emettendo un gemito sordo, sbuffò una nuvola di vapore maleodorante a cui seguì un rivolo d’acqua putrescente e subito dopo abortì l’ombra di un grosso rospo che senza perder tempo corse saltellando giù dal canale andando ad unirsi alle schiere di morti che ci seguivano.

Le labbra si rilassarono, dalla piega superiore sbocciò un corposo clitoride sanguigno profumato di spuma di mare frizzante di vento e l’aria sembrò illuminarsi.  

 

                                                                                  Epilogo 


Un passo indietro nel soffitto del mulino dei briganti, si vedono Archide e Mora seduti al tavolo della sfera che guardano Merdino addormentato proprio mentre lui sogna di passare l’arcobaleno con la ragna e arriva al pomo bacato. Merdino è steso con la testa sul tavolo, i suoi capelli sono tutti ritti percorsi da scintille crepitanti che saettano verso la sfera come se comunicasse con lei. La sfera si è arrossata e le statuine sul tavolo si son messe a vibrare, si sentono leggeri cigolii e tutto il tavolo sfrigola di elettricità.

Archide dice con tono sorpreso: “È arrivato, ci è riuscito.”

Mora chiede: “Tu non lo credevi capace?”

“Non è vero, sapevamo che ce l’avrebbe fatta, tutto procede come previsto. Le vere difficoltà per lui cominciano ora, i guardiani del sogno non si faranno fregare facilmente.”

Mora posa il tombolo con il ricamo, beve un sorso di vino poi guardandolo con occhi gravi dice: “Sono in gioco il lavoro di miliaia di anni tessuto ora dopo ora con pazienza infinita, forse il nostro è stato un azzardo, lui potrebbe convincere i guardiani alla sua volontà, sai che lo può fare.”

Archide scuote la testa ridendo e continua: “Impossibile, è una macchina, non si possono convincere.”

“Lui potrebbe capirlo.”

“In tal caso così deve essere, il nostro compito è la sua distruzione, lui lo doveva sapere, domanda e risposta cresce la storia, ognuno ha il suo ruolo, guardiamo quel che succede e qualsiasi cosa sapremo trovare la risposta, è la dialettica del sistema.”

Moro riprende il ricamo al tombolo e continua, con voce ironica: “Tu stai sperando di non essere un suo strumento, sperare non è da te, la risposta è effetto della domanda e la causa chiede quello che vuole.”

Archide rimane silenzioso a seguire gli eventi, ad un certo punto, quando nel sogno si apre la Pomona per vedere Attila, tutte le statuine sul tavolo si mettono a gemere, qualcuna va in frantumi, la sfera è diventata incandescente, i capelli di Merdino sembrano di fuoco.

Il mago e Mora si alzano in piedi ad osservare in trepidazione, i secondi si vedono scorrere uno dopo l’altro rullando a tamburo, il ritmo accelera, tam tam forsennato all’iperbole che s’alza a testa di serpe poi tutte le statuine si afflosciano in un magma di putrefazione, la sfera gonfia di luce ed esplode in uno sbuffo di fuoco col rumore di una bolla di sapone che scoppia.

Ora sul tavolo sembra il pavimento sotto il posatoio di un pollaio, Archide si siede con un sospiro, gli occhi agitati che non vedono risposte ed esclama: “Non ha fatto l’identità, non l’ha fatta…non c’è cascato! Il sogno non si è chiuso!”

 Mora si avvicina a Merdino, lo scuote, lo scuote ancora poi allarmata gli tocca la giugulare sul collo, tasta e ritasta ed infine esclama, con voce strozzata: “Il cuore non batte, è morto!”

Archide si scuote e sbotta: “Non è possibile!”

Mora rimane silenziosa, il mago prende Merdino in braccio e lo posa sul tavolo poi gli asculta il cuore, gli tasta il polso, prova a passargli uno specchietto davanti al naso e dice: “Morto, che significa? Morto, proprio adesso che ogni cosa è stata predisposta…non può essere un caso. Guarda Mora con odio e ringhia: “Tu, se stata tu, le tue erbe, lo hai ucciso, non potevi fargli favore più gradito.”

 Mora ribatte piccata: “Impossibile! La pozione che gli ho dato non può averlo ucciso, il motivo deve essere altro!”

Archide gli fa un massaggio cardiaco poi prova a rianimarlo con la respirazione bocca a bocca, si interrompe e chiede: “E questo cos’è?” Infila due dita nella gola di Merdino ed estrae un lungo spillo insanguinato. Guarda Mora incredulo e continua: “No, tu non puoi essere stata, doveva averlo lui…ma come ha fatto?” Osserva attentamente lo spillo alla luce e improvvisamente questo gli svanisce in mano esplodendo come la sfera. Stupefatto mormora: “Lo ha trovato nel sogno…come è possibile?”

Rimangono un po’ a rimbeccarsi e a fare congetture ed alla fine Mora dice: “Potrebbe anche essere andata diversamente intanto questo è il risultato, adesso che cosa facciamo?”

Archide rimane pensieroso qualche secondo e risponde: “Tutto deve procedere secondo i piani, troveremo un sostituto. Nessuno deve sapere che è morto, faremo sparire il corpo.”

Prende Merdino in braccio, fa ruotare il tavolo e scende al piano inferiore poi posa il corpo, si affaccia alla finestra e chiama la sentinella sul ponte. Questa arriva e Archide gli dice: “Vai a svegliare Zoro, fai poco baccano, digli di venire subito qui.”

La sentinella va e dopo un po’ ritorna con il capo dei briganti. Archide la congeda e fa entrare Zoro nel mulino, lo porta davanti al corpo di Merdino e dice: “È morto, non ha superato la prova.”

Zoro lo guarda e ribatte: “Morto? Non sembri contento, cosa è successo veramente? Mia figlia ti ucciderà quando lo verrà a sapere.”

“Tua figlia non deve sapere niente, faremo sparire subito il corpo, chiuderemo quel buco e presto si dimenticherà. Domani dirai a tutti che gli ho dato una pozione per fargli perdere la memoria e l’abbiamo liberato. È in gioco la nostra sopravvivenza, spero che tu capisca.”

Zoro lo guarda incredulo e chiede: “Invece non capisco, che vuol dire?”

Archide, con voce brusca ribatte: “Non fare domande.”

Zoro continua: “Perché? Sei stato il mio maestro, tu mi hai allevato da bambino e fatto diventare capo dei briganti, per te darei la vita ma se c’è un pericolo voglio saperlo, è un mio diritto!”

Il mago risponde: “Il pericolo è che tutto il nostro mondo scompaia, fidati di me.”

Zoro guarda il corpo di Merdino e dice: “La morte di questo moccioso può avere effetti così catastrofici? Se lo dici tu…per me è meglio così, stanotte non riuscivo a dormire pensando il pericolo che rappresentava, avremmo dovuto ucciderlo subito, non so perché mi hai detto di portartelo vivo.”

“Noi sapevamo da tempo della tresca con tua figlia.”

“Non mi hai mai detto niente!” ribatte Zoro incredulo.

“Noi ascoltavamo le sue parole, lui era in contatto con il mago della Lunigiana e noi sappiamo perché il nostro fratello lo educava ed eravamo interessati a come procedeva la sua istruzione. Questo ti deve bastare. Ora vai a dire alla sentinella di andare a chiamare Zingar poi torna qui e ti dirò il resto.”

“Farò come vuoi.” mormora Zoro a denti stretti,  “Questa storia mi convince poco ma comunque è morto e non può più rappresentare un pericolo.”

Zoro esce, si sente lo scalpiccio dei suoi passi sulla spiaggia mentre si allontana sopiti dal rumore della cascata che batte sulle pale del mulino. Archide avvolge il corpo di Merdino in una coperta poi lo mette in un grosso paniere e quando Zoro rientra chiede: “La sentinella è andata”

“Sì”

“Allora facciamo presto, portiamolo fuori.”   

Escono col paniere e lo abbandonano alla corrente del canale. Sotto i luccichii tremolanti che splendono dal soffitto di stelle riverberando l’acqua di riflessi il paniere si allontana e arrivato al fondo precipita nello scolo sotterraneo.”

“Pace all’anima sua.” mormora Zoro, poi guarda lo sbocco della cascata in alto e continua: “Stando a quel che aveva detto fra un po’ dovrebbe tornare da lì.”

Archide lo fissa con occhi  assorti dalle parole, si scuote, afferra Zoro per un braccio  e dice: “Torniamo dentro.”

Arriva Zingar, entra nel mulino e dopo un po’ ne esce insieme a Zoro trasportando un involto dalle dimensioni di Merdino, passano il ponte informando la sentinella della loro missione e si allontanano verso l’uscita. Può sembrare un particolare senza importanza ma mentre Zoro non guardava Archide ha fatto un gesto a Zingar e questi ha risposto assentendo con occhi muti.
 

                          Le merdacce.

Merdino, dopo l’esplosione della sfera, si sveglia completamente nudo a cavallo di un asino ritto sulla coda di una pulce tra i peli della mona di una gatta appisolata su un cuscino vicino ad un caminetto acceso dove di fronte si vede una finestra dalle tendine rosse aperta su New York.

“Che ci stiamo a fare qui?” chiede al somaro.

L’asino si mette a saltellare sulla coda della pulce così leggermente che questa non se ne accorge neppure e risponde: “Rock and roll, non senti il tempo?”

“Allora stiamo ancora sognando in un altro sogno. Meno male…” sospira  Merdino,  “tutte quelle croci cominciavano a deprimermi, che storia…”

L’asino raglia facendo echeggiare dal culo  una sonora scoreggia e continua: “Deprimere non è, non si può sindacare di come un porcaro amministra i suoi maiali, ognuno ha i suoi metodi. Il lavoro è perfetto.”

“Però…” mormora Merdino,  “Farmi morire così…sarà vero? forse non l’avrei raccolta la pietra…così adesso penseranno…”

L’asino mi interrompe con un fischio, fa battere le orecchie e dice: “Pensare non è, morire nemmeno, la pietra neppure e Me tanto meno. Adesso sei un concetto puro.”

“Un concetto puro non è!” ribatto preso dal gioco,  “Sembra proprio nulla.”

“Nulla non è!” sentenzia il somaro.

“Tu chi sei? Hai detto che non devo chiederlo, è vero, ho capito, sei il condannato volato via dalle fiamme, sai proprio di fuoco, che ci fai dentro un asino?”

“Asino non è!”

“Allora sei uno dei figli di Geus che stanno all’inferno.”

“Inferno non è e Geus e figli non sono mai esistiti.”

“Allora…sei uno di quei pezzi di merda che stavano intorno al merdino!”

In quel momento, come presa dall’ispirazione, la gatta si gratta nel punto dove c’è la pulce, l’asino l’anticipa e fa un lungo salto atterrando su un prato pieno di fiori profumati da far venire voglia di leccarli e farfalle svolazzanti dei più svariati colori con al centro un laghetto d’acqua imbiancato dalla spuma di una fontana che sprizza sopra di lui senza toccarlo come sospesa nel vuoto. Intorno alla fontana ci sono altri undici asini che pascolano, come ci vedono ci corrono tutti incontro ragliando scoreggiando e scodinzolando ed ognuno si presenta: “Piacere, pezzo di merda!”

 

 

 

 

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