La fila di me continua ad allungarsi, salendo sembrano
essersi impilati uno sopra l’altro, ognuno il ricordo dov’è, forse è la memoria
oppure i sogni funzionano così e mantengono il contatto tra il sognatore ed il
sognato. La ragna, volevo dire la principessa, sembra non accorgersene, me
invece inizio ad intuirli anche davanti ancora da venire ma già in progetto
come involucri vuoti da riempire passo dopo passo su una strada tracciata in
precedenza, come e da chi questo non so.
Adesso la strada è bloccata da due ragnatele poste una a
fianco all’altra che hanno in mezzo due ragni che ci guardano dalla faccia sul
sedere con occhi penetranti. Oltre lo spazio continua verso il centro
dell’universo dove c’è il buco nero e si vede il buio infittirsi gradatamente
verso di quello.
Caterina solleva l’addome sulle otto zampe risucchiando
dalla bocca il filo che ci ha portato fin qui poi si scrolla facendo sobbalzare
le trippe gonfie e dice: “Ecco, quelli sono i guardiani, sono già stata qui una
volta con due mei cousins che han
voluto tentare la sorte ma hanno fallito e sono finiti nelle loro pance. Io con
loro non mi ci metto, fa attenzione a come parli perché è proprio con le parole
che giocano.”
Me sono sospettoso, perché la ragna mi ha portato qui?
L’intuizione tace e chiedo: “Con tutto lo spazio che c’era potevamo passare da
un’altra parte e aggirarli.”
“Impossibile!” risponde sicura Caterina, “Il cielo sembra largo ma da qualsiasi punto
si salga ci si trova davanti i guardiani
e sono sempre gli stessi.” Aspira su dal naso gorgogliando e continua: “Io odio
non poter fare quello che voglio, nessuno mi può mettere dei limiti, è come
stare in prigione, voglio passare ed andare dal nonno a tutti i costi.”
Parlando le si sono arruffati tutti i peli sulle zampe,
sembra convinta, la faccia sul sedere è grintosa ed accattivante, molto carina,
quella dietro sta in ombra e rimane inaccessibile. Il sospetto c’è ancora,
dico: “Questo è il tuo mondo e posso capire che ti senti chiusa ma se tu fossi
d’accordo con loro potresti avermi portato qui a bella posta per farmi mangiare
come i tuoi cousins.”
“Come osi parlarmi così? Io sono la principessa, non
dimenticarlo, credi che mi darei ad un plebeo qualsiasi per niente? Se mi vuoi
te lo devi guadagnare!”
Me di volere una ragna non interessa ma per il resto la
penso proprio come lei, anche a me non piace avere dei limiti e decido di
tentare la sorte, tanto è un sogno, male che vada mi sveglierò e l’attimo dopo
l’avrò dimenticato come faccio coi sogni. Sento un fremito di fuoco percorrere
la fila di me fino a me, stringo l’impugnatura dello spillo e mi avvicino ai
guardiani.
Le ragnatele si mettono a vibrare e con una voce leggermente
roca e molto suadente con tonalità acute e gravi come se fossero un uomo ed una donna che
parlano da una stessa bocca i ragni dicono:
“Voler volar sul
pazzo pozzo c’apre campa zampa al niente
Pente gente mente
affina secondo tondo mondo intende
Pianger gesso prima
in mezzo, spira e servo a mezzo tende
Cambiar dovrai con
uno l’altro se passo vuol varcare il niente
Chiama con nome e
l’uno e l’altro e passar potrai con vera mente.”
Un indovinello, me ho capito, il mago a Casola ogni tanto li
fa, la risposta di solito è mascherata nella domanda con le indicazioni per
scoprirla. I ragni si sono zittiti ma dalle loro bocche sul culo stanno uscendo
dei fili vischiosi che si stanno avvicinando lentamente e non sembrano affatto
amichevoli. La principessa si è accucciata sullo sbuffo di una nuvola vicina,
ha preso lo specchietto e si sta preparando un tirino intanto mi guarda con
tutte e due le facce.
Per guadagnare tempo chiedo: “Quante possibilità mi date?”
Silenzio, solo i fili continuano ad avvicinarsi inesorabili
facendomi capire che se non rispondo in fretta sono panato. Non so proprio che
dire, non sono mai stato bravo con gli indovinelli, una volta avevo provato ad
esercitarmi e qualcosa avevo ottenuto ma è passato tanto tempo e chi si ricorda
più? Mi viene il desiderio di un suggerimento e subito sento una cosa gonfiarmi
una tasca. Metto la mano e trovo una conchiglia marina , come sia finita lì se
prima non c’era non so proprio ma non è il momento di pensarci, istintivamente
porto la conchiglia all’orecchio, si
sente il fruscio del mare e poi una voce dire: “Rispondi, digli i nomi, che
aspetti?”
“Tu chi sei?” gli chiedo.
“Come chi sono? Sono me di quella volta, me sono bravo con
gli indovinelli, ho capito subito.”
“Quale me?”
“Dagli…sei cocciuto, di me ci sono solo me, sono nella fila,
giù in fondo, ci possiamo parlare con la conchiglia, anche gli altri, ci sono
tante cose che hai dimenticato ma noi le ricordiamo tutte, quando avrai bisogno
di un consiglio prendi la conchiglia e uno di noi ti aiuterà. Adesso rispondi
alla domanda.”
“Lo farei volentieri se mi dici la soluzione.”
“Non c’è bisogno, tu dì e me parlo.”
Questa poi, i fili
ormai sono ad un passo e si stanno preparando a ghermirmi, cerco di non pensare
alla fifa e rispondo:
“Difficile non è
facile se facile non è difficile, ser ha mezzo pianger gesso la prima
Spira e servo vengon dopo con pente e gente a far da rima
Al tuo voler saper il
niente che passo avrà alla sorgente
l’uno e l’altro chiamo
Serpente e Sergente.”
I fili si ritirano, i guardiani si dondolano sulle ragnatele
e la loro doppia voce dice:
“Chiamare hai saputo
e questo e quello
niente è ancor per
fare il passo
dal nulla al nulla
nella tua mente.”
Le nuvole si stanno oscurando e si vedono fulmini saettare
da tutte le parti con tuoni che esplodono fragorosi, Caterina si è avvicinata e
sniffando dal naso guarda silenziosa,
improvvisamente si alza una tromba d’aria che passa sulle ragnatele
aspirandole con i ragni e si apre la porta, insomma, non si vede più ed al suo
posto sta diventando tutto buio.
La principessa ha gli occhi sul sedere languidi, tira su dal
naso e dice: “Lo sapevo che ci saresti riuscito, tu devi essere un mago, adesso
però non si vede più niente, neanche la strada del ritorno, cosa facciamo?”
“I guardiani hanno detto
dal nulla al nulla, forse è una parola che cambia rimanendo la stessa,
un gioco, siamo sulla cima dell’ Olimpo, nulla, se l’Olimpo è nulla dev’essere
un altro nulla che è sempre Olimpo ma con le lettere disposte diversamente, O L
I M P O…potrebbe essere IL P O M O, una
mela!”
In mezzo al buio si inizia a scorgere una montagna aguzza in
cima alla quale c’è proprio un melo con un'unica mela appesa al ramo più alto
che luccica e brilla come una stella.
Me so che è un sogno, so per modo di dire perché quando si sogna non si sa
di sognare ed il saperlo è solo una convinzione accertata dalle cose
fantastiche che stanno avvenendo. Comunque non sono sicuro di niente e
l’incertezza apre una lunga strada davanti che sale inerpicandosi fino all’albero con IL
POMO.
Caterina solleva l’addome, tira su dal naso e fa schioccare la lingua sul
palato della bocca del sedere. Dopo aver deglutito rumorosamente chiede:
“Adesso cosa facciamo?”
“Me vorrei saperlo, improvvisiamo, prima però cerchiamo di capire dove
siamo.”
“Non lo vedi da te? Questo è l’Olimpo, lassù in quella torre ci deve essere
Geus, il nonno è proprio un originale a farsi la casa in una mela.”
“Sì…come un verme…aspetta a dirlo, le cose sono cambiate, questo non è
l’Olimpo, ora è il Pomo e forse anche Geus non è più Geus ma ha un altro nome
con le lettere cambiate.”
“Questo non posso crederlo!” strilla Caterina stizzita. “Il nonno è il
nonno.”
“Lo dici perché ti fa comodo ma cosa ne sai?”
“Non capisco, credevo t’interessasse sapere se sei veramente figlio di un
boia o un mon cousin…”
“Me di essere tuo cousin mi frega
quanto del boia, ragiona, questo posto può essere solo un sogno, me ci sono
entrato sognando e te eri già dentro, forse anche tu stai sognando di essere
qui mentre nella realtà sei nel castello di Fivizzano e stai dormendo, forse
questo è il sogno di tutti ma ho il presentimento che sia un mondo…non so la
parola, qualcosa comunque di molto importante dove le cose avvengono per
desiderio, prima c’era il buio, ho detto Il Pomo ed è apparso, ho desiderato lo
spillo e me lo sono trovato in mano, poi la conchiglia…qui ci sono venuto per
fare l’oroscopo, vedere quel che accadrà, forse questa è la strada e quel che
troveremo sarà quel che sarà, me non ho paura di niente ma te devi calcolare
che qui le cose potrebbero non essere come credi, forse me sono stato cambiato
nella culla ma la stessa cosa potrebbe essere avvenuta a te, forse non sei la
principessa ma la figlia di una serva ed allora che cosa direbbe tuo nonno se
non è tuo nonno?”
La ragna ringhia con la faccia davanti e con quella dietro dice: “Tu devi
essere matto o stai cercando la frusta, potrei farti tagliare la testa per aver
detto una cosa simile, di quale sogno stai parlando? Io sono sempre stata qui!”
“È questo il punto, quello che credi, principessa in un sogno ma nella
realtà… me sono certo che se vogliamo continuare dobbiamo vedere le cose come
sono, senza menzogne. Una volta a Casola, mentre il mago parlava da solo, l’ho
sentito dire che i nobili sono peggio dei servi ed adesso ho capito, che cosa
succederebbe se l’oppio finisse? Saresti ancora una principessa o solo più un
rottame di carne come succedeva a mia madre? È l’oppio che ti ha addormentata
facendoti credere di essere principessa,
a te, la tua famiglia e tutti i cousins che hai sparsi per il mondo, questo è
nel sogno e come può andare poi è facile da vedere mentre me voglio sognare
un’altra storia perché…questa potrebbe essere una trappola che il mago mi ha
teso per manovrare il futuro e le cose potrebbero andare diversamente da come
lui crede.”
“Come osi parlare così? A me! La principessa della Lunigiana! Ho gli armadi
pieni, ne ho per tutta la vita!”
“Bene, vedo che hai capito, però qui non ci sono armadi quindi cerca di moderarti.
A me non piacciono i vecchi e gli ammalati, sono fortunati i cani che gli danno
una botta sulla testa.”
Caterina ha drizzato tutti i peli sulle zampe, la faccia davanti in ombra
mugugna silenziosamente, quella dietro,
spavalda, ribatte: “Bada a come parli! I mei
cousins che vanno alla scuola di Casola me l’hanno detto che sei un noioso,
tu mi stai facendo la morale! Sei un plebeo e ti capisco, noi nobili non
abbiamo morale, questa è la noblesse!”
Me ho capito che a discutere con una donna è come con i sassi, non si
conclude niente, bisogna chiudere il discorso per aprirne un altro e così dico:
“Se ti piace crederlo…a me sembra proprio il contrario, la schiavitù dell’oppio
la chiami bene mentre è male l’essere plebeo e questo è morale, le tue sono
solo giustificazioni che non cambiano quello che sei in realtà, una serva che
si crede chissà chi!”
In risposta Caterina tira fuori lo specchietto, ci srotola sopra una
striscia di brown e se la sniffa di
gusto, sta qualche secondo a tirare su col naso deglutendo ad occhi chiusi poi
sospirando soddisfatta dice: “Contento, io sono così, se ti va bene bene
altrimenti pazienza.”
“Me non dico che l’oppio sia male, è una medicina, una volta da bambino che
avevo mal di denti mia madre me l’aveva dato ed il male era passato, l’unica
volta perché ne aveva poco e lo valeva più dell’oro, quello che è male è essere
schiavi che è quello che credi di non essere ma che invece sei, se vuoi
chiamarla morale chiamala così, ho solo voluto mettere in chiaro le cose ma
adesso muoviamoci di qui, cerchiamo di raggiungere il Pomo, son proprio curioso
di vedere come andrà a finire questo sogno.”
La strada continua su un tracciato di fili di ragno tessuti come una
passerella tra le stelle, i fili sono appiccicosi e la passerella traballante
ai venti cosmici ed agli sciami di farfalline luminose che provengono dallo
spazio. Caterina si scrolla sulle lunghe zampe come per voler cacciare i
pensieri e dice: “Va bene, ti perdono anche la tua sfacciataggine, per essere
un plebeo parli meglio dei mei cousins,
forse ti ho capito ma non voglio capire, tu non sai certe cose che…io non ho
potuto scegliere, sono nata così e questo ho trovato. Andiamo, anch’io sono
ansiosa di vedere il nonno.”
“Questi sono fili di ragno, me non so camminarci sopra, appiccicano.”
La ragna mi afferra con quattro zampe e mi posa sulla sua groppa poi
procedendo all’indietro come i gamberi si avvia sicura sulla passerella.
Procediamo per un po’, adesso la strada si è allargata e sui cigli stanno
spuntando alberi luminosi, in breve siamo circondati da una foresta
scintillante e davanti a sbarrarci il cammino ci sono due esseri
incredibili, si vede un grosso serpente
con una lunga lancia stretta tra le spire acciambellato sul guscio di una
tartaruga che ha la testa le gambe e la coda che escono dai buchi come quelli
di un cavallo. Al fianco, un poco arretrato, c’è uno scimmione goffo e
muscoloso col pelo grigio tutto arruffato che gli copre completamente il corpo
e la faccia, ha le corna ed i piedi caprini ed un lungo pene eretto simile ad
una mazza di tamburo che sembra sporgere dalla groppa dell’asino che cavalca.
Il serpente, vibrando la lingua ad ogni parola, con voce sibilante dice:
“Chiunque voi siate, amici o nemici
Per cavalleria errante razio
Di gustar uova di pernici
Qui vi convien pagare dazio.”
“Chi siete?” gli chiedo.
Il serpente, senza scomporsi, ci punta contro la lancia mente la tartaruga
freme sulle zampe di cavallo e risponde:
“Il
nome vuoi sapere
Che ti bucherà la pancia
Ser P lo puoi vedere e
Ser G alla sua lancia.”
Caterina inalbera il sedere facendomi ruzzolare giù dalla
groppa, mi rialzo non senza fatica per i fili appiccicosi della strada e
intanto la sento strillare: “Come osate sbarrare il passo alla principessa?
Toglietevi subito di lì altrimenti chiamo i gendarmi e vi faccio tagliare la
testa!”
Ser P sogghigna con flemma allentando le spire sulla
tartaruga cavallo e dice:
“Pigia barbera che
porta imbelle
fuor dalla riva a
pascolar favelle
qui non troverà da
far fascine
coi vuoi ma non puoi
delle cantine.
Questo è il regno
degli antichi numi
se passar volete coi
vostri acumi
duellar dovrete o far
da implumi.”
Caterina si impenna e fa per ribattere ma la interrompo
dicendole: “Stai calma, così non risolviamo niente, questi ci hanno sfidato e
non possiamo tirarci indietro.”
“Cosa dici? qui siamo nel mio palazzo e qui comando io!”
“Forse è così ma forse il tuo palazzo finiva alla porta e
qui siamo in un altro mondo dove la tua volontà non conta niente.”
“Vuoi dire? Non ci credo, io comando dappertutto, quando lo
dirò al nonno… chi sono questi villani?”
“Non lo so, devono comunque essere abitanti del sogno, forse
i guardiani della porta che si sono spostati,
lascia fare a me, ho sempre sognato di sfidare un cavaliere errante.”
Ser P ha messo la lancia in resta e sta per attaccare,
desidero la cosa e subito gli alberi sui margini della strada gemono e si
contorcono come se volessero sradicarsi dal terreno poi allungano i rami, li
fanno volteggiare per aria e iniziano a batterli sulla strada davanti a noi e
addosso al cavaliere ed al suo scudiero.
Li lascio bastonare per un po’ e quando sono ben frolli
fermo la foresta. Adesso ser P è a terra tutto contuso e dolorante, la
tartaruga ha ritratto testa ed arti nel guscio e ser G ed il suo asino sono
coricati a pancia in su anche loro tutti saccagnati. Il pene dell’orango si è
flosciato scomparendo nel pelame.
Faccio un passo avanti, alzo lo spillo facendolo brillare e
dico: “Me non piace far così ma se così
è così è, toglietevi dalla strada o dirò agli alberi di bastonarvi ancora!”
Ser P si riacciambella gemendo sulla tartaruga, solleva la
testa facendola dondolare poi con voce suadente e soffiata come parlano i
serpenti quando vogliono essere cortesi dice:
“Giovin signore
dall’aere venuto
Tutto l’ardor m’avete
taciuto
Bestia che son a non
saper degno
Accogliervi in grazia
al santo regno
Servo con servo ai
vostri piedi siamo
Voler il vostro
volere sol desiamo.”
Il serpente s’è chetato, tiene gli occhi mogi e umili
guardando a terra, lo scudiero si è rialzato ed è rimontato sull’asino. Le sua
parole non mi hanno sorpreso, l’intuizione le ha ascoltate seguendo un filo che
si perdeva in un groviglio di forse e però, decido di non trarre conclusioni
affrettate e rispondo:
“Così va meglio, stiamo andando alla montagna del Pomo e non
abbiamo tempo da perdere, sono sicuro che devi conoscere la strada, se vuoi
accompagnarci e farci da guida ti prendo al mio servizio.”
Il serpente esplode in una polvere di stelle che subito si
ricompone in un altro serpente, prima era grigio e squamoso adesso è iridato
che sembra un arcobaleno e gli occhi gli splendono come diamanti. Con voce
melliflua dalla erre leggermente moscia dice:
“Gira la strada
avanti e dietro
Saper al saper non si
può dire
Voler al voler è
lungo il metro
Da qui al monte per
salire
Segna la via solo il
desio
D’andar con mira al
parer mio.”
Detto questo colpisce il guscio della tartaruga e questa
tira fuori dai buchi delle gambe quattro ruote, da quello della testa una
cassetta da carrozza e da quello della coda una bandiera rossa fiammante con al
centro un aquila bianca in volo. L’orango si è trasformato in un flessuoso
paggio turco col viso effeminato dagli occhi nerissimi e luccicanti e le labbra
sensuali e pronunciate vestito con una livrea d’oro con i ricami di una torre
ed un turbante rosso in testa. Si va subito a sedere a cassetta, la tartaruga
carrozza si gira e traballando sui fili di ragno inizia ad avviarsi verso la
montagna con l’asino davanti a fare strada.
Nell’aria gli sciami di farfalline luminose si sono
infittiti a guardare formando ovunque cascate e fontane scintillanti.
Caterina a bocca aperta esclama: “Per Bacco! Questa non
l’avrei mai creduta. Adesso che facciamo?”
“Seguiamoli, fammi montare.”
La ragna mi solleva sulla groppa, mentre mi sistemo la sua
faccia davanti si volta e facendo battere le chele con voce grugnosa chiede:
“Come hai fatto a far muovere gli alberi?” poi subito si ritira nascondendosi
nell’ombra e mordendosi la lingua come pentita di aver parlato.
Caterina, dalla bocca sul sedere, continua: “Oh, pardon…
certe volte non so chi sono e faccio cose che…però è vero, come hai fatto? Il
serpente ti ha chiamato giovin signore, a te, il figlio del boia, come è
possibile? Mi è venuto un sospetto e non riesco più a togliermelo dalla mente,
queste cose le può fare solo il nonno, allora tu…”
“Quante storie, di quale nonno parli? abbiamo la stessa età, come faccio ad essere
tuo nonno, non farti venire idee balzane altrimenti chi ci capisce più niente.
Andiamo, segui la carrozza.”
La ragna si incammina saltellando aggraziata sui fili e
ribatte: “Va bene, non dico niente però tu sei davvero un mistero ed il
sospetto non me lo puoi togliere.”
“Pensa quello che vuoi, anche te il serpente ti ha chiamata
pigia barbera, parli un dialetto diverso da quello di Casola, dove lo hai
imparato?”
“Mia madre, la regina, è figlia del duca di Asti e da
bambina sono stata allevata dalle sue ancelle che vengono tutte da un paese del
ducato che si chiama Mombercelli rinomato per la barbera, la lingua è piaciuta
e anche molti mei cousins l’hanno
imparata e la parlano, loro dicono che fa chic
ma per me lo fanno per non sembrare cavatori parlando in lunigiano, quel
serpente è proprio villano ma quando sarò dal nonno…insomma, non riesco a
togliermi il sospetto, tu…va bene, aspetterò che siamo arrivati e poi vedrò con
i miei occhi.”
“Questo è parlare saggio, me non mi fido di quel serpente,
può aver detto così per confonderci e prendere tempo, se ha mentito ci può
attirare in una trappola, facciamo attenzione.”
Per fortuna le ragne si possono cavalcare solo nei sogni, è
come stare su un morbido cuscino dondolante tra due facce, Caterina tiene in
avanti quella del sedere e procede spedita come se fosse la sua vera faccia, le
sue lunghe zampe affusolate e pelose saltellano sui fili della strada con
grazia da ballerina anche se un po’ appesantite da me.
Il serpente sulla tartaruga carrozza ci precede di qualche
metro verso Il Pomo sulla montagna, l’aria è illuminata dalle farfalline che
svolazzano fitte ovunque, ogni cosa splende di luce dorata.
La principessa dice: “Come sono lenti.”
“È una tartaruga, di cosa ti lamenti?”
“Fai le rime anche tu
adesso? Però…hai visto quel paggio com’è bello? Quasi quasi…quando arriviamo
dal nonno glielo chiedo, sono tutta arrapata.”
“Sei davvero una sorpresa, credevo che le principesse…”
“Cosa credevi? Ce l’abbiamo in mezzo alle gambe come tutte
le altre, sei geloso? Guarda bene di non esserlo, io non sopporto ne i gelosi
ne i traditori!”
Me a parlare con le donne non sono abituato, quello che so
l’ho imparato guardando sulla strada ma non sono ancora riuscito a farmi un
opinione per dire com’è, è vero che tutte le volte che ne vedo una carina mi
sento frullare ma non è il caso in questo momento con una ragna, cerco di fare
la voce diplomatica e rispondo: “Me non sono geloso, come faccio a tradirti se
non ci siamo ancora fidanzati? Sei proprio un bel tipo, sei gelosa e non
sopporti i gelosi. Aspetta a parlare, quel paggio prima era uno scimmione peloso
e potrebbe ancora trasformarsi.”
“Lo sapevo…sei
geloso…oh be’, sono abituata, tutti i mei
cousins lo sono, voi maschi siete tutti uguali, appiccicosi come colle, hai
visto che cazzone aveva, quello spero proprio che gli sia rimasto, io adoro…”
Mentre Caterina continua a decantare le bellezze del paggio
l’intuizione si è messa in moto e capisco una cosa. Questo sogno è un oroscopo
e potrebbe indicare un futuro possibile, nella realtà potrei davvero rapirla e
poi lei si innamora di un paggio e mi monta le corna. A Casola sono tutti
cornuti ma ognuno crede di non esserlo e quando capita che uno se ne accorge
scoppiano i putiferi, forse potrebbe accadere qualcosa del genere se la rapissi…bisognerà sognare diverso, poi
c’è il problema del…”
Mentre continuo a pensare Caterina dice: “…lo vestirò con la
livrea di coppiere, mi farò servire a tavola, tutte me lo invidieranno, le farò
scoppiare dal…aspetta, ho detto scoppiare, infatti mi sento un po’ giù, forse è
meglio che mi faccio un tirino, facciamo una sosta tanto quelli sono lenti e li
riprendiamo subito.”
Si ferma e tira fuori lo specchietto deponendoci una
striscia di brown poi se la sniffa
con la cannuccia. Tira su dal naso più volte gorgogliando e inghiottendo il
muco e sospira soddisfatta.
Me vedo: “Anche questo potrebbe essere un futuro possibile,
se la rapissi potrebbe rimanere senza ed allora…oppure potrebbe trascinarmi nel
vizio ed in tal caso…hmmm, meglio cambiare sogno.”
Rientro in me e dico: “Sembra che oltre che schiava sei
fissata, tutte le volte che pronunci una parola che contiene oppio o eroe ti
viene voglia di fare un tirino, spero che tu ne abbia a sufficienza perché mi
dispiacerebbe lasciarti per strada…”
Mentre vedo un’altra probabilità Caterina ribatte: “Ti
dovrei far tagliare la testa per quello che dici ma adesso mi sento magnanima e
non voglio infierire…sta tranquillo, prima che tu mi rapissi ho fatto una bella
scorta e quando saremo dal nonno ci penserà lui a me.”
“Te lo auguro, dal nonno non sappiamo ancora se arriveremo,
non mi fido di quel serpente.”
“Se non ti fidi perché lo hai assunto?”
“Prudenza, meglio averlo sotto gli occhi che dietro, sono
certo che ci porterà in una trappola ma qualsiasi cosa farà sarà comunque un’
indicazione di quel che avverrà quindi faremo attenzione e nel caso lo farò
legnare dalla foresta.”
“Se lo dici tu…”
Caterina lecca i rimasugli di brown sullo specchio poi
rimane a guardarsi dentro compiaciuta. Lo specchio è ovale con una fine cornice
iridata formata da due serpentelli che si annodano al collo con le code intrecciate a fare da manico. Lo
lecca ancora una volta e dice: “Bello vero? Questo specchio è un ricordo di mia
nonna, la pazza, conosci la storia? A me era simpatica, origliando i discorsi
delle serve ho sentito dire che negli ultimi anni si era innamorata di un
boscaiolo e voleva lasciare il castello per andare a vivere con lui e per
questo avevano stabilito che era matta e rinchiusa in una segreta del castello.
Da vecchia era diventata veramente pazza, teneva addosso sempre lo stesso vestito
che le si era appiccicato sulla pelle e aveva i capelli e le unghie
lunghissimi. Forse un giorno ti racconterò il resto, lo specchio lo rubai
quando morì, mi piaceva troppo e nessuno se ne accorse, da altre serve ho
sentito dire che era diventata una strega e lo specchio lo usava per fare gli
incantesimi. Io ci ho provato ma non sono riuscita a niente, comunque per quel
che serve è utile.”
Lo lecca ancora, tira su dal naso e lo ripone nella tasca.
“Non credevo che le principesse origliassero i discorsi
delle serve.”
“Oh! Cosa credi? Devo pur passare il tempo, tu non sai l’ennui. Mi sembri come quelli che sanno
solo criticare gli altri e non sono capaci a guardare se stessi. Sono così, sei
tu che mi hai rapita, adesso ti penti?”
Caterina ha ragione, certe parole potrei evitarle ma me non
bado a quello che dico e nella testa mi sento un congegno che non smette un
attimo di fare calcoli. L’Olimpo è diventato Il Pomo ma variando le lettere
diventa OPIO ML, ML potrebbe stare per mela, in tal caso melato d’oppio, melato
malato… la parola ha sviluppi infiniti, il doppio di Caterina è evidente nelle
sue due facce, ci deve essere un nesso
che collega il sogno alle lettere di OLIMPO, forse un campo di nobili malati
d’oppio, una probabilità che è meglio scartare per cercarne di migliori.
Caterina interrompe i miei calcoli alzandosi per rimettersi
in moto. Con guizzi leggiadri delle sue otto zampe in un attimo raggiungiamo la
tartaruga carro. Ho l’impressione che sia diventata più grande, il doppio di
prima ed anche il serpente ed il paggio sono cresciuti in proporzione.
La passerella di fili di ragno si è allargata e gli alberi
si stanno diradando lasciando il posto ad un immenso piazzale circolare
sfavillante come un mare di luce nel mezzo del quale si alza la montagna del
Pomo. Più avanti la strada si sdoppia in un bivio e subito dopo le due strade
si sdoppiano ancora e ancora e continuano a sdoppiarsi ed a intersecarsi con
altre strade verso il centro dove sono tutte accalcate una sopra l’altra
formando grosse ondate di luce che si frangono contro la montagna.
Il carro è arrivato al bivio e prosegue nella direzione di
destra poi all’altro prende per sinistra ed all’altro di nuovo a destra,
seguiamo le deviazioni a zig zag verso Il Pomo e intanto il carro diventa
sempre più grande.
Il serpente ed il paggio sono immobili nelle loro posizioni
e non danno segni di fermarsi, siamo entrati in un labirinto, con tutte queste
deviazioni potremmo perderci e forse è questa la trappola.
Caterina, come se mi leggesse nella mente, dice: “Non ti
preoccupare, ho legato il filo al cancello e lo sto filando, se perdessimo la
strada lo seguiremo a ritroso.
Lo standard.
L’immagine cresce, l’intuizione lavora, me non so più quale
me sono, trasportato nel sogno, un me addormentato che vive in un’altra
dimensione…quello che c’è sembra talmente cretino che non riesco a crederci
eppure è così, nomi a cui sono associate forme puramente immaginarie e me ci
posso giocare come mi pare. Qualcosa del genere ma non si può dire con certezza
perché un addormentato che sogna non è padrone di nulla e quindi è servo.
Comunque qui non sono il figlio del boia, sono me e basta e non lo devo credere.
All’ennesimo bivio il carro si è fermato, ora è talmente
grande che copre la visuale del Pomo, le spire del serpente attorcigliate sulla
tartaruga si sono sciolte in lettere che si possono combinare a piacere, sembra
un grande tendone iridato e davanti la cassetta pare un botteghino dove il
paggio danzando vapori sinuosi invita il pubblico ad entrare per assistere allo
spettacolo.
La testa del serpente si gira e dice:
“Voler volar sul nudo
colle
c’abbaglia il cul
della lusinga
qui non si mangia se
non per bolle
e bene cammina chi
non ha stringa.
Or tu vedrai quel che
credevi
esser lo più dello
stanzone
saper cantar in versi
brevi
sarà il gusto della
tenzone.”
Me non so che dire, il gioco è allettante però ci sono cose
che impicciano, forse è proprio quello che credo, sono condizionato a credere
me una cosa che non è me e allora mi comporto come un credente e non vedo le
cose nel giusto modo. La conchiglia nella tasca trilla, ci deve essere me che vuole parlare e risponde in rima:
“Vuole la bocca andare
a frittelle
Giusto sapor del
zuccherino
Sale con pepe son
tutte quelle
Che lingua danno allo
zerbino.
Muta il serpe alla
stagione
Gira la
clessidra a tutte l’ore
Se sotto con sopra
non oppone
Il bene al mal senza
stridore.
Voler mutar non si
conviene
Quel che a sognar il
tutto tiene.”
Mentre il serpente si rigira la ragna fa un balzo ed
esclama: “Sei un poeta, lo sapevo, a palazzo si parla spesso di te, sapessi
quello che dicono i mei cousins…”
A questo punto succede una cosa di quelle che possono
capitare solo nei sogni, mentre Caterina parla le sue parole si filano in una
sequenza di immagini che da minuscole si fan sempre più chiare.
La ragna continua: “Tu non sai l’ennui, noi giovani poi, non ci lasciano uscire dal castello e ci
tengono senza soldi, se vogliamo qualcosa la dobbiamo rubare e poi…a palazzo ci
siamo solo noi ed i servi… impariamo da piccoli osservando loro, stiamo sempre
a spettegolare di questo e di quello e per divertirci non abbiamo altro che…”
Sulla porta del tendone serpente appare la scritta:
A questo punto, sbucando da dietro il crocefisso, entra in
scena il boia vestito da centurione e
inizia subito a snocciolare figure.
Mente vacilla nel
chieder scusa
Pente il ricordo di
chi l’accusa
Gente nel niente che
non si scusa.
Un bel casino, lo posso proprio dire ma non trovo le parole,
c’è qualcosa che giudica che non è me, forse un comportamento caricato sul me
che credo di essere che non è me, qualunque cosa creda non è me e dopo c’è un
vuoto misterioso che agisce e basta.
I soldati sono nudi, pelosi, ricoperti di sangue, due
squadre, si fronteggiano su un campo ovale fangoso di terra mista a sangue più
e meno fresco delimitato da gruppi di prigionieri anch’essi nudi incatenati e
tenuti a bada da altri soldati, questi in corazza e armati. Qualcuno guarda dal
di là di un reticolato che cinta il campo.
Non si vede nulla quindi si può solo immaginare corpi
confusi senza fisionomia, chi sia questo chi sia quello non si capisce, sono
corpi, contenitori di comportamento e agiscono a effetto del tutto
spontaneamente.
Il boia fischia, un prigioniero viene scatenato e portato a
peso in mezzo al campo, un soldato con la spada gli taglia la testa, questa
cade ancora viva ruscellando sangue e viene subito afferrata da braccia
robuste, si accende una zuffa, la testa scivola da sotto la calca e viene
raccolta da uno che la passa ad un altro e di passaggio in passaggio cercano di
portarla verso una fossa al limite del campo, gli avversari si oppongono
accendendo furiosi corpo a corpo, urla, gemiti, imprecazioni, finalmente la testa finisce nella buca e dopo
qualche secondo di riposo un altro prigioniero viene portato in campo, questa
volta la testa viene contesa a calci e la successiva da soldati a cavallo a
colpi di mazza…
Me a fare il figlio del boia queste cose non mi sorprendono,
neppure vedere i prigionieri tifare con accanimento infatti ogni squadra ha i
suoi, ogni volta ne giocano uno e perde quella che li finisce prima.
Il modello è sfaccettato come un diamante di specchi che
riflettono lo spettacolo, si può vedere altro su un unico campo dove folletti
velocissimi cambiano la scena, questa volta c’è un prigioniero con un torso
possente legato al palo, davanti ci sono soldati che sembrano i cousin della ragna che vengono alla
scuola di Casola armati di piccoli giavellotti e gareggiano a tirarglieli
contro il torace cercando di centrare il
cuore contrassegnato da un cerchio, su un’altra faccia lo prendono a sassate mirando
alla testa, su un’ altra lo cuociono in un pentolone d’acqua bollente oppure
alla brace e continua, scene che sfilano senza ricordo per finire nuovamente
nel campo, in questo c’è un palo appuntito conficcato nel culo di un prigioniero che sta per uscirgli dalla bocca.
Ai piedi del palo, sporco dal sangue che cola, c’è un cartello con scritto:
“Baro
Roth in Cul”
e intorno altri
postulanti che implorano a mani giunte chiedendo soldi o miracoli. La figura è
ambigua, le sfaccettature della scena hanno la forma di un pendolo, non so se
la parola è appropriata perché ora
sembrano fluire ripetendosi al contrario verso il crocefisso iniziale come se
fossero rivoltate all’interno di una clessidra.
Cate osserva ad occhi sgranati, il corpo vibra di
eccitazione, i lunghi peli sulle zampe sono tutti ritti.
“Che spettacolo!” esclama.
“Ti piace? Sembra di essere sul palco del boia, quante volte
li abbiamo visti.”
“Che importanza ha? Adesso è adesso e io lo sapevo, siamo
sull’Olimpo ed il nonno ci ha voluto regalare un intrattenimento emozionante
prima di riceverci.”
“Questo è quello che credi, me non la penso così.”
“Oh, sei proprio un noioso, tu cosa credi?”
“Me non credo niente ma cerco di capire, stiamo sognando è
tutto quello che abbiamo visto è nel sogno, in qualche modo sognato e questo
sogno è continuamente ricordato perché il sognatore non lo dimentichi e
continui a sognarlo…”
“E allora?”
“Allora niente, è così, forse il serpente ci ha attirati in
una trappola, se continuiamo a seguire le scene potremmo perderci nel sogno,
aspettiamo gli eventi.”
La testa del serpente in cima al carrozzone si gira e dice:
“Dover covar la dura
brace
che brucia il
pelo di chi la dice
lungo la via che non
tace
a chiamar per nome
quel che si lice.
Or questo or quello
gira la ruota
a macinar le ossa di
quel che fu
è e sarà ancora in
quota
a mutare pelle dal
meno al più.”
Me non aspetto neanche che suoni la
conchiglia e rispondo:
“Dolce la lingua di
chi l’ha detto
Tentar potrebbe il
cuor pivello
Se a menar per l’aia
non ce li metto
Tutti gli stracci
dentro al lavello.
Or quel che credo
abbiamo visto
Or quel che è faremo
andar
A mio piacere non
insisto
Dal meno al più a
ridondar.”
Il serpente non sembra gradire la risposta, inizia a
gonfiare ed a sputare fuoco, in breve si trasforma in un mostro spaventoso e
urla e tutto intorno fulmini e tuoni fragorosi saettano ed esplodono.
“Oh oh! Si è proprio arrabbiato. Adesso che facciamo?”
chiede Cate.
“Me non ho paura, ho un’ idea, l’ho desiderata tante volte
di notte quando ero solo nel bosco a guardare le stelle, sta a guardare.”
Punto lo spillo e dall’intrigo di sentieri saltano fuori dodici grandi uova alate dal
guscio infrangibile accese e splendenti come il sole, si mettono a volare
intorno alla testa del mostro e lo bombardano con palle infocate. La testa
esplode, tuoni e fulmini si zittiscono e mentre le uova si allontanano
velocissime in ogni direzione scomparendo tra le stelle il serpente, il
sergente e la tartaruga carrozzone si afflosciano a terra amalgamandosi in un
magma iridato che ribolle e fuma brontolando per un po’ e poi si allunga in un
arcobaleno fino alla montagna con Il Pomo.
Sprono la ragna a seguire la scia, Caterina sale
sull’arcobaleno e lo percorre tutto correndo sulle otto gambe pelose, arriviamo
al fondo appena in tempo, l’arcobaleno si ritira e con spire flessuose entra
dentro un foro nel Pomo per uscir fuori subito dopo con l’aspetto di un verme.
“Non mi sono mai divertita così tanto!” esclama la
principessa.
Visto da vicino Il Pomo somiglia ad un teschio umano
sghignazzante a grandezza naturale ed il verme esce dal buco del naso come se
fosse un suo prolungamento. È acceso di una luce biancastra tenue ed
intermittente e sta appeso al ramo di un albero immenso e buio di cui si notano
appena i contorni e si riesce solo ad indovinare la presenza di altri pomi
appesi qua e là. Qui non ci sono lucciole ad illuminare, c’è un silenzio come
quando si ha la testa vuota, poi si sente uno scalpiccio di zoccoli ed appare
l’asino del paggio trafelato con la lingua fuori per lo sforzo, ci deve aver
seguiti sull’arcobaleno, passa alla larga e si va ad accucciare ai piedi del
Pomo, allunga testa ed orecchie per fare un sonoro raglio di sfida e rimane a
guardarci con occhi sorpresi. Il verme si dondola lentamente ad occhi
socchiusi, sembrano oppiati, la ragna non si lascia sorprendere e tira fuori lo
specchietto per farsi un tirino. Dopo aver sniffato più volte su dal naso e
deglutito dice:
“Questo sarebbe
l’Olimpo? Non ci posso credere, che ci fa lì il verme? Dov’è Geus? Quando vedrò
il nonno mi sentirà, ne ho di cose da dirgli…dov’è finito il paggio? Se lo sarà
mica mangiato? Aveva un cazzone che…oltre che coppiere l’avrei fatto cocchiere,
mi avrebbe scorrazzato dove volevo, le avrei fatte morire tutte d’invidia, io…”
La ragna continua a cicalare incurante della situazione, me
intanto ho avuto il tempo di riordinare le idee e adesso non so se essere
sbalordito perché tutte le volte che capisco una cosa è come se la sapessi
già. Interrompo la principessa proprio
mentre la sua immaginazione la trascina a stringere il cazzone del paggio tra
le tette per divorarlo e dico: “Tu parli a vanvera, me sono abituato a credere
che le principesse siano chissà cosa ed invece vedo che a parte la boria sei
come tutte le altre.”
Caterina aspira una lunga tirata di muco su dal naso,
inghiotte, muta espressione facendo occhi furibondi e ribatte: “Come osi
parlarmi così? Sei proprio uno zotico, non so come abbia fatto ad innamorarmi
di te.”
“Finora mi hai usato
perché non sapevi come arrivare fin qui ed adesso è meglio che ti disilludi, lo
vedi coi tuoi occhi, qui non c’è nessun Geus, tuo nonno potrebbe non essere mai
esistito.”
“Come sarebbe…ed allora io chi sono? Sei tu che parli a
vanvera!”
“Forse è vero, forse no…qui siamo in un sogno, nel mio sogno
dove dovrei vedere il futuro che mi aspetta, tu eri già qui perché me ti
sognavo e ti sognavo come immaginavo che fosse una principessa così come
sentivo parlare in strada, lo stesso vale per Geus, tuo nonno non esiste nella
realtà, è una cosa che si impara da piccoli a credere sentendo parlare gli
altri che ci credono, una credenza ed ora
che siamo arrivati al punto dove avremmo dovuto trovarlo al suo posto
c’è una mela bacata da un verme, questo è da capire perché me non lo sognavo e
se lo sognavo poi non lo ricordavo, potrebbe essere un indovinello nascosto
nell’immagine.”
La ragna cambia espressione diventando curiosa e dice: “Va
be’…se il sogno è tuo allora può essere così, se fossi io a sognare invece…no!
È assurdo, io sono sempre stata qui, è qui che ho sentito parlare del nonno, è
qui che ho il castello e sono la principessa!”
“Questo è vero ma tu esisti nella realtà ed anche il tuo
castello e me ti sognavo perché ti vedevo alla finestra tra il re e la regina e
tutti chinavano la testa e guardarti mentre di Geus avevo solo sentito parlare
ma non l’avevo mai visto. Adesso lo vedi anche tu, qui non c’è nessun Geus!”
“Sei proprio un villano ma io ho pazienza e sono sicura che
prima o poi il nonno lo troveremo ed allora ti farò pagare l’insolenza! Adesso
intanto che cosa facciamo? Dove sono finiti il paggio e ser P?”
“Sembra proprio un indovinello e forse la risposta ha a che
fare con la tua boria, aria che pesa solo all’apparenza e che se toccata si dissolve come se fosse contenuta
in una bolla di sapone. Di
Geus conosciamo solo il nome, il nome è una parola composta da lettere, forse
ser P ed il paggio sono la stessa cosa, parole composte da lettere, le lettere
si possono cambiare di posto per ottenere altre parole. Questa è un immagine e
può essere accaduta la stessa cosa, le parti si sono cambiate e hanno dato
forma al pomo bacato.”
Caterina aspira su dal naso, rimane un attimo pensosa, fa
l’atto di tirar fuori lo specchietto per un tirino, si trattiene e dice: “Non
ho capito un tubo, sta storia della bolla di sapone…parli come un mago,
spiegati meglio.”
“Me vedo che sotto la boria capisci, è come la parola madre,
se cambi le lettere diventa merda ed assume tutto un altro significato, forse i
sogni sono fatti di lettere che appaiono come parti di immagine che si possono
combinare per ottenere figure che poi sogniamo, figure chiuse in una bolla di
sapone che al risveglio svaniscono oppure indovinelli che se risolti si mutano
in nuovi indovinelli, sembra un gioco e lo trovo molto interessante, un gioco,
un balocco, un congegno e quello che vediamo è il luogo dove il sogno si
origina. Forse dentro il pomo è scritta la parola che rappresenta il futuro,
non sono certo di volerlo sapere, perderei il gusto della sorpresa ma in ogni
modo qui non possiamo stare in eterno quindi ci dobbiamo muovere e risolvere
l’indovinello e poi vedere quel che succederà.”
“Su questo sono d’accordo, sono sicura che troveremo il
nonno e allora…oh, sono proprio strana, ti amo e ti odio, forse è meglio che mi
faccio un tirino per darmi la carica.”
Filo che esce dal
mestruo infangato
O dio del ciel amor
te abbassato.
Dietro è davanti
ringhia feroce
Sul cul della lingua
il me precoce.
Le parole non le ha dette il verme, sono uscite così senza
suono con l’accento sulla e, per aria si vedevano e poi si sono squagliate in
una sbuffata. Forse è l’indovinello che nasconde il pomo bacato o forse un
aiuto mandato dall’ispirazione…ci sono parole prese a insulti che invece sono
complimenti e parole prese per complimento che invece sono insulti, significati
invertiti che sono e non sono ma che importanza ha? Tutto sta a non pesare le
parole e l’immagine priva di peso s’affloscia e svanisce, paf!...proprio come
una bolla di sapone.
Qui tutto è enigma, segno, unghiata graffiante, uno e
l’altro ed altro ancora, leggerezza, piacere di essere, bene e male non è, è
creare.
Il verme continua a dondolarsi con occhi vaghi e nebbiosi
privi di favella, dalla sua bocca aperta esce un sottile odore di uova marce e
decomposizione appena percepibile, tutt’intorno è buio come se solo noi e
l’immagine fossimo illuminati, l’asino continua a guardarci sospettoso agitando
la coda e scoreggiando silenziosamente, come un gatto che fa le fusa.
Dell’immagine solo lui sembra avere una parvenza reale.
Caterina ha preso lo specchietto, tira fuori il corno con la
roba, lo agita, lo apre guardandoci dentro e sospira: “Oh oh…qui andiamo male,
sta per finire, ce n’è rimasto proprio poco.”
Me prendo la parola al balzo e ribatto: “Vuoi dire la tua
baldanza?”
La principessa arriccia il naso e risponde: “Non scherzare,
tu non sai, divento una furia… sei tu che mi hai rapita, adesso se non troviamo
il nonno non so proprio come faremo, la colpa è tua, non dovevi rapirmi, io…”
“Non cercare pretesti e scuse, te l’ho già detto, sei una
schiava e la colpa è solo tua che non sai dominare i tuoi appetiti. Adesso
cerca di non pensarci, forse sei condizionata a credere cose non vere e se la
tua medicina finisse non succederebbe niente.”
La faccia davanti della ragna si volta di scatto fissandomi
con occhi feroci, quella dietro dice: “Se lo dici tu…tu non sai, una volta ho
visto un mon cousin che l’avevano
lasciato senza per punizione… anche a mia nonna era successo…intanto poco ma ce
n’è ancora, il tirino me lo faccio.”
Rovescia il corno per versare la polvere sullo specchietto,
poi si arresta, rimane un attimo indecisa, mi guarda e brontolando sottovoce
alza lo specchio per guardarsi dentro.
Qui non è facile da spiegare perché avviene una cosa che non
avrei mai creduto se non la vedessi coi miei occhi. Caterina si specchia, quel
che si specchia di lei è il suo sedere, lo specchio la riflette poi va oltre
aprendosi come una finestra dove si vede quel che vedrebbe un culo quando si
siede sull’asse forato del pozzo nero: un mucchio di merda e piscio puzzolenti.
Dal liquame si solleva una nebbia densa che si contorce e geme prendendo la
forma sempre più nitida di una vecchia rugosa china davanti ad un camino acceso
a rimestar dentro un paiolo con un lungo mestolone.
Caterina grida: “Quella è la nonna!”
Me non posso fare a meno di rimanere a bocca aperta e dico:
“Non può essere la tua, quella è mia nonna, la riconosco bene, è proprio come
lei quando andavo a trovarla!”
La vecchia smette di mestolare e ci guarda sogghignando. È
vestita tutta di nero con un ampio scialle che l’avvolge coprendole la testa.
Dallo specchio esce un acuto profumo di uova marce simile all’alito del verme e
subito dopo la voce della nonna dice: “Cari nipotini, come state…sono così
contenta di vedervi.”
Caterina sbotta: “Nonna, che ci fai dentro lo specchio?
Perché hai detto nipotini? Che centra lui?”
La vecchia alza il
mestolo e risponde: “Sciocchina…quel che
striscia la terra non ama volare, tu hai il tuo nome e non vedi altro,
stappati gli occhi…aspettavo da tempo questo momento, sapevo che mi avresti
rubato lo specchio, lo avevo lasciato apposta per te… e tu Merdino, come stai,
sempre in cerca di nuovi giocattoli da rompere?”
Me sono incredulo, come fa a sapere che adesso mi chiamo
Merdino? L’intuizione insiste sul ricordo dell’uccello decollato sul sentiero
che portava al fiume, la lettera T
ed il significato, adesso sogno ma me sono sognato e se sono sognato non sono
quello che sogna, anche la nonna quindi…ragionare mi viene confuso, troppi
mescolamenti, decido di stare al gioco e rispondo: “Sto bene nonna, ti ho vista
morta, i cavatori dicevano che era stato il lupo.”
La vecchia ride e ribatte: “Sciocchino, chi è eterno non nasce e non muore. Tu hai visto solo l’apparenza,
non quello che c’era dentro. Lico è qui con me, lui mi sarà sempre fedele. Sapevo che saresti arrivato al pomo, sono qui
per aiutarti. La tua mente è limpida più dell’acqua pura, ci leggerebbe dentro
anche un bambino, adesso ti stai chiedendo se quell’uccello morto ha a che fare
con il sognatore, ebbene sì ma non ti dico perché, lo devi capire da solo e
sono certa che lo farai.”
Caterina interviene con voce stizzita: “Perché dici così?
Lui è il figlio del boia, che centra con me, non può essere tuo nipote!”
Me mi fido poco e sto attento, tocco una zampa della
principessa per richiamare la sua attenzione e le dico: “Forse ho capito, sono
tutti attori intorno a noi, come il carrozzone di ser P, forse si scambiava le parti, ci hanno menato per il
naso fin’ adesso…”
La ragna mugola un: “mmm…” poco convinto intanto la nonna
riprende a parlare: “Bravo Merdino, a te
non la si fa, un balocco perfetto. Hai visto la possibilità di tante storie
ammucchiate che hanno tutte la stessa morale e non sai quale scegliere e
naturalmente non ne vuoi scegliere nessuna ma fare a modo tuo, del tutto
originale.”
Me sono punto da quello che ha detto, stringo lo spillo e
dico: “Così pare, le storie sono tante, me le vedo e paiono tutte fatte apposta
per fare la fine di quell’uccello…hai detto che non nasci e non muori, i
cavatori dicono che sei una strega, vuoi dire che sei stata e sarai sempre così
vecchia e brutta?”
La nonna sghignazza e risponde: “Sciocchino, tu mi vedi così
ma…in futuro studierai la filosofia, leggerai di Platone e delle idee, capirai
che cosa sono gli archetipi e gli standard d’opinione e tante altre cose
ancora.”
Me ribatto: “In futuro quale? Qui ce ne sono tanti e me
quello che farò adesso e tirarti fuori da lì per vedere cosa sei veramente!”
Il gesto è puramente simbolico, tocco la testa della nonna
nello specchio con lo spillo, la testa va in frantumi, lo scialle nero si
allarga ad ali di uccello aperte e dal collo squarciato inizia ad uscire una
nube sempre più grande e fitta che si allarga dappertutto prendendo la forma di
un’ isola che s’erge su un oceano in tempesta con il cielo plumbeo gonfio di
nuvoloni neri che sprizzano fulmini e rimbombano tuoni da tutte le parti. In
mezzo all’isola c’è una montagna immensa con la cima nascosta dalle nubi.
Mentre l’odore di uova marce si fa sempre più forte e
penetrante dallo specchio salta fuori il lupo della nonna, vola sulle onde in
tempesta atterrando sull’isola e corre verso la montagna.
La leggenda del lupo.
Caterina vistosamente emozionata ha avvicinato la faccia del
suo sedere alla mia mentre quella davanti storce gli occhi per guardare il
nuovo spettacolo.
Me sono leggermente intontito dalla puzza che si fa sempre
più intensa. Stranamente non mi sento disgustato, anzi, direi eccitato ma non
so se la parola è giusta.
Caterina dice: “Questo odore è insopportabile, fallo
smettere, mi fa sentire un verme!”
“Come faccio? Ci deve essere qualcosa che marcisce qui
intorno.”
Caterina tira su dal naso nervosamente e continua: “Cosa
marcisce? Questo odore lo conosco bene, lo so da dove viene, io…hai mai visto
un cane annusarla ad una cagna in calore? Ebbene, io…non mi sono mai vergognata
così tanto… ma che succede, che sta facendo il lupo?”
Il lupo correndo ha subito una metamorfosi straordinaria, da
vecchio pieno di rogne che era è diventato giovane e possente col pelo fulvo e
brillante, le zanne che fanno scintille e gli occhi che paiono due braci accese
di ferocia, sale un pezzo di montagna poi si ferma su uno sperone roccioso che
sporge come un pulpito un centinaio di metri sopra la spiaggia ed inizia ad
ululare selvaggiamente verso il cielo. Me la racconto come viene perché è
davvero incredibile, la tempesta sembra ubbidirgli, mentre fulmini rimbombanti
illuminano la scena le nuvole si aprono lasciando libero uno squarcio dove si
vede la cima innevata ed il cielo con in mezzo la luna piena grande e
splendente come non l’avevo mai vista.
Adesso il lupo sta ululando al mare, ululati lunghi e
possenti che si mescolano al sibilo del vento coprendolo. Il mare si alza
lentamente, le onde sono aumentate di volume e si frangono violentemente quando
giungono a riva, su certe, le più grosse, la spuma che le ricopre sembra
gonfiare modellandosi in figure con la vaga forma di animali, cavalcano l’onda
e si frangono con lei poi cominciano ad arrivarne di più grandi ancora e su
queste la spuma allungandosi prende la forma inconfondibile di lupi, un
centinaio di lupi possenti come Lico uno dopo l’altro ululando al richiamo
saltano dalle onde sulla striscia di spiaggia ancora libera ed iniziano a
correre su per la montagna, in breve lo raggiungono e lo circondano uggiolando
e scodinzolando festosi, si annusano, si danno morsetti affettuosi, si leccano
e si strusciano come amici che non si vedevano da tanto tempo poi, mentre il
mare rombante continua a salire il lupo della nonna ulula selvaggiamente verso
il cielo, si fa largo tra la calca e riprende a correre verso la cima. Gli
altri lo seguono, si dispongono dietro di lui in una formazione a cuneo con la
punta alla retroguardia, correndo i lati del branco s’agitano come ali, la
figura prende la forma di un uccello selvaggio e possente che vola rasentando
il terreno, corrono incuranti degli ostacoli che trovano abbattendo massi ed
intere foreste, raggiungono la cima e continuano a correre sulla neve verso la vetta fino alla punta e
qui si fermano ansimanti guardando tutti la luna.
La scena sembra di
averla sempre davanti agli occhi come se l’immagine fosse zoomata.
Lico ha iniziato ad
ululare alla luna stagliandosi nitido sulla cima contro di lei, ulula
disperato, sembra preso dalla smania, la luna è diventata immensa e si fa
sempre più grande, il lupo scende di qualche metro aprendosi un varco nel
branco che lo guarda con occhi di fuoco, si volta, fissa la luna poi con un
guizzo di rincorsa salta verso di lei scomparendo nel buio. Dopo qualche
secondo sulla luna si sente un lungo ululato ed altri ne seguono.
Gli altri lupi iniziano ad agitarsi, ululano, altri
guaiscono attirati dai richiami, per un po’ sono indecisi, qualcuno prende la
rincorsa ma si ferma prima di saltare e torna indietro sbavando, la cosa va
avanti qualche minuto poi dopo un
ennesimo ululato che sembra non finire mai si decidono, riprendono la formazione a uccello, le ali
del branco sembrano battere e dopo una
rincorsa velocissima saltano tutti verso la luna.
Qui non si vede più niente, se sono arrivati o precipitati
non si sa, intanto l’odore di uova marce è aumentato e la luna è diventata così
grande e vicina che la si potrebbe toccare con un dito. La sua luce è
accecante, sembra un mare di latte sfavillante dove navigano pigre isolette di
panna tra crateri e gorghi cremosi. Lascio che gli occhi si abituino e cerco i
lupi, è tutto deserto, c’è un silenzio impressionante avvolto dal profumo delle
uova marce, poi in un avvallamento scorgo delle macchie scure, l’immagine ingrandisce
ed ora si vede meglio, sono delle fosse che sembrano scavate nella panna, sono
un centinaio disposte a cuneo, l’immagine ricorda vagamente l’uccello
decollato, dentro ci sono dei corpi, sembrano addormentati, riconosco Zoro, poi
Ercole ed altri briganti del mulino, qualcuno si sta muovendo, si stanno
svegliando, nella fossa sulla punta del cuneo riconosco la fata, ha aperto gli
occhi e mi sta guardando e non ci sono dubbi, mi sta guardando con odio.
La deve aver vista anche Caterina perché strilla: “Quella
puttana, sempre tra i piedi!”
La sua voce rompe l’incanto, la luna scoppia come una bolla
di sapone, per un attimo non si vede più niente poi riappare il pomo con il
verme dondolante e l’asino sotto.
Un sogno, me l’ho guardato e adesso, mentre cerco di
interpretarlo, ricordo di aver già sentito una storia simile circolare per
strada, ce ne sono parecchie che girano. Caterina ha ancora lo specchio in mano
e ci guarda dentro incredula, lo scuote, lo annusa poi lo rimette
silenziosamente nella tasca. Dopo aver tirato su una lunga sorsata di muco dal
naso e deglutito rumorosamente dice: “Questa poi, sembra un incantesimo, era
proprio la nonna, non ci capisco più niente, se è anche la tua allora siamo cousin, l’avevo detto io, insomma, come
è possibile? Tutti quei lupi che prima erano spuma delle onde e la luna, però,
che sogno…e quella puttana, ce la manderei proprio sulla luna per non vederla
più, io…” S’interrompe agitando il corno con la roba, lo stringe nella mano e
rimane in silenzio assorta in chissà quale pensiero.
Me sono come quando si sta a guardar scorrere l’acqua nel
fiume senza far niente, l’intuizione si è messa in moto e comincio a vedere dei
collegamenti. Continuo: “Quella è la mia fata, per tanti anni è stata la mia
unica amica, ci parlavamo da un buco e non credevo neppure che fosse vera, non
hai nessun motivo per odiarla.”
Caterina ribatte imbronciata: “Taci villano, tu non sai! Io
sono la principessa e faccio quello che mi pare!”
“Se lo dici tu… sembra gelosia, una principessa gelosa, non
capisco, prima eri tutta presa dal paggio e di me non ti importava nulla, di
chi sei gelosa?”
“Io sono la più…la più…” non trova la parola e continua: “tu
devi amare solo me altrimenti…”
“Mi fai tagliare la testa…come all’uccello? Stiamo perdendo
tempo, questi sono discorsi inutili e faresti meglio a non pensarci, tu devi
essere malata, l’oppio ed il lusso della tua corte ti devono aver
rincitrullita.”
“Bada a come parli! Quando vedremo il nonno…”
“Quale nonno? ne parli come se fosse un dispensatore
d’oppio. Siamo in un sogno, nel mio sogno, qui non hai nessun potere ed a me
non piacciono le principesse gelose che poi la danno al primo paggio che
incontrano, bella figura mi faresti fare…”
Come dico queste parole sulla fronte del pomo spuntano le
corna. Il verme si è ulteriormente rimpicciolito raggrinzendosi e dalla bocca
continua a spandere odore di uova marce. L’asino ci guarda silenzioso con un
ghigno ironico stampato sul muso.
La principessa esclama: “Io comando anche nel tuo sogno e
tu…insomma! Questo odore proprio non lo sopporto, fallo smettere!”
Me la puzza la sento ma di tutt’altra specie, siamo in un
sogno e per continuare bisogna andare avanti, anche Caterina è un sogno, forse
centra forse no ma prima di continuare è meglio tastare il terreno. Dico: “Me
non so proprio come fare, l’odore mi piace, non lo trovo affato sgradevole.”
“Davvero ti piace?” chiede lei con voce leggermente
incredula.
Appunto la conferma all’intuizione e continuo: “Che
importa?...me ho capito che sei tu a non
piacerti e per questo preferisci stare in un sogno dove il tuo corpo è
negato, affari tuoi ma se credi di fare di me un tuo trastullo è meglio che ti
disilludi. Questo oroscopo è davvero istruttivo, non la finisce mai di mostrare
futuri possibili, anche i lupi devono centrare, forse…deve aver a che fare con
l’ospedale che c’è sopra Vigneta dove vivono i cattolici… certe notti di luna
piena danno le mattane e si mettono tutti ad ululare e battere coperchi…ma qui
ci sono i briganti, ed anche la fata, i suoi occhi mentre mi guardava erano
carichi d’odio, gelosia? oppure tradimento, forse il lupo li ha catturati ed
imprigionati e loro credono che quel lupo sia me…nelle fosse non ho visto
Archide…i maghi sono abili a far credere quel che vogliono, questo è davvero un
avvertimento utile, forse è un esempio che si ripete nel tempo riflesso dalla
luna come questo odore di uova marce che tu chiami puzza. Dalle uova marce non
nascono pulcini ma c’è altro…forse centra la tua faccia davanti, quella che
tieni dietro per far vedere il culo.”
“Di quale culo stai parlando?” ribatte Caterina
piccata, “questa è la mia faccia!”
“Quello che credi, il corpo lo hai negato e stai tutta nel
nome principessa, una parola…il tuo sedere è quello che vedo ma davanti sei
tutt’altra cosa e non è detto che sia la tua vera faccia, potrebbe essercene
ancora un’altra, forse…me di donne m’intendo poco ma tu l’hai detto, una cagna
in calore, i cani sentono la puzza lontano chilometri e accorrono in massa
senza capire più niente, impazziscono
come i cattolici dell’ospedale alla luna…ci deve essere un collegamento. Me, a
parte mia madre che andava al cesso senza chiudere la porta, in mezzo alle
gambe di una ragazza non ho mai guardato e di mia madre si vedevano solo peli e
da lontano però una volta alla torre di Casola che mettevo in ordine i fogli ho
visto una tavola anatomica dove era rappresentata una mona nei particolari,
sembrava proprio una faccia con una protuberanza nel mezzo simile ad un naso e
sotto tra due labbra aperte una bocca cavernosa…”
Come dico queste parole sul pomo, sotto al verme, si apre un
foro e l’odore aumenta.
Caterina arrossisce vistosamente e sbotta: “Tu, tu,
tu…ebbene, i cousin me l’avevano
detto che sei un villano, come osi parlare così?”
Non sento la domanda e continuo: “La tua faccia davanti, il
pomo mona e dentro Geus…e poi la faccia
quella sul collo…questo mi viene difficile da accettare perché…il sogno è mio,
sono me che sogno e allora potrei…” l’intuizione rimane da nominare e continuo:
“Tre facce e una principessa ed il pomo è tra le tue gambe, una mona…è questo
che stiamo sognando!”
Caterina rimane in silenzio indecisa se adirarsi o che cosa
e l’asino ne approfitta per fare un lungo raglio sghignazzante. Subito dopo il
verme con voce grinzosa e doppia come gli enigmisti al cancello dice:
“Essere aver ci duole
il tono
Da gonfio aspetto
parer più niente
Avere esser ci manca
il suono
D’andar per caso con
altra mente.
Or che la musica più
alta rima
A cantar d’uccelli
dai gravi stridi
Volere poter ci trova
stima
Potere voler più
dolci gridi
A spogliar la pelle
di quel che spelle.”
Caterina sbuffa visibilmente agitata e dice: “Questo verme,
non c’ho capito un tubo, puzza da vomitare, mi fa sentire…perché non parla
chiaro e magari si profuma che si starebbe meglio.”
Me non so se la parola è giusta ma comincio a divertirmi,
l’intuizione la sento spingere dove il tasto stona, o tradisce, vedo tanti
potrebbe essere dove nascosto c’è quel che è e rispondo: “Me ti capisco, il
sogno sei tu e hai paura di vederti come sei veramente perché tutte le tue
credenze scoppierebbero in una bolla di sapone. Me ti vedo una ragna,
chissà…forse il cambio ti gioverebbe ma questo non importa. Il verme parla così
perché non sa parlare diversamente, è un congegno, una macchina, dentro deve
avere un sacco di rotelle che girano.”
“E cosa ha detto?”
“Quel che ho detto, è una macchina, un carro d’attori e può
solo essere guidata.”
“Parli proprio come un mago, spiegati meglio.”
“Uffa, se vuoi capire capisci altrimenti non la finiamo
più…guardalo, è la sua figura che parla, un significato, il Pomo è diventato
una Pomona, maschio e femmina come la sua voce, una mona, quella che hai tra le
gambe, la vediamo lì perché ogni cosa si origina da lei e gli assomiglia come
una copia stampata, è straordinario, con le corna assomiglia ad una vacca.”
“Io!?” esclama interrogativamente Caterina.
“Se vuoi chiamarla io…sia io, però potrebbe anche essere un
toro se è il maschio a parlare, in tal caso…hmmm.”
Caterina continua: “Vuoi dire il tuo pisellino? O forse
quello del paggio, aveva un cazzone.”
“Sì, qualcosa del genere, ma non importa di chi, è solo
l’idea, un’immagine che li rappresenta tutti. Una figura maschio e femmina ma
il maschio non è la femmina, è l’idea di un universo, come dire…una legge, una
regola intorno alla quale ogni cosa si genera. Forse si nutre proprio di idee
come la tua mona di sborra, forse vuole essere…”
“Oltre a villano sei anche volgare, i mei cousin l’avevano detto.”
“I tuoi cousin, sembra che li hai sempre intorno a parlar
male di me. Chiami volgare quel che hai tra le gambe, chi ti ha detto che è
volgare? Sei fissata ad una credenza, un giudizio stabilito come legge che così
deve essere per l’accordo di tutti ma anche tutti sono una macchina, si
inserisce la sborra e la macchina li partorisce. Non è sborra sborra, sono
parole, giudizi e tu ci credi perché così hai visto fare ai tuoi cousin che a
loro volta lo han visto fare da altri cousin…me vedo che è un sistema, un modo
di fare, la macchina li stampa tutti a sua immagine in base alla parola che gli
viene sborrata dentro, quella parola, ecco! Ci deve essere una parola…”
L’asino m’interrompe ragliando molto acuto e a seguito del
raglio dice: “Per essere grullo sei grullo, tante parole quando ne basta una,
perché vuoi capire? Creare è un volo continuo
alla ricerca di ciò che piace e piacere è relativo al gusto.”
Nei sogni è normale che i somari parlino ma questo è strano,
ragiona e non avevo mai sentito un asino ragionare.
“Vorresti dire raglionare…” continua l’asino, “Noi non abbiamo bisogno di ragionare e
neppure di raglionare.”
“Chi sei?”
“Chi sono non ha importanza, ti voglio dare un consiglio,
non chiederlo mai a nessuno, noi abbiamo il gusto, possiamo capirlo al primo
assaggio.”
“Allora sei un mago, un somaro mago. Che fine ha fatto il
paggio?” Gli chiede Caterina.
“Chi sono non ha importanza. Il cazzoforo parla da sé ma
solo nei sogni, nella realtà tutto è già stato previsto e non si può cambiar
nulla perché così è.” Raglia un paio di
volte e poi mi guarda dicendo: “Merdino…hai visto la parola ma non l’hai ancora
assaggiata, non avere fretta, lascia che sia il capriccio del vento a sostenere
l’ali, il profumo invita al sapore e l’assaggio tocca e fugge. La parola è un
nome e la forma della parola non è parola.”
“Se non è parola cos’è” domanda Caterina.
“Un’immagine, quello che si vede.” Rispondo.
“Neppure.” Ribatte l’asino.
Me capisco subito il
gioco e dico: “Se è gusto è un sapore.”
“Fuochino, ” dice l’asino “ma sapore non è.”
“Allora un tirino di brown su per il naso!” ribatte
Caterina.
“Meno che mai!” sentenzia l’asino scrollando la testa e
facendo battere le lunghe orecchie tra loro.”
Me provo ad indovinare: “Un profumo!”
“No!”
Provo ancora: “Me.”
“No!”
Me vedo che qualsiasi parola direbbe no e capisco, se la
forma della parola che cerco non è parola qualsiasi cosa rispondessi sarebbe
una parola quindi non una forma ed allora provo a stare zitto.”
L’asino dice: “Ti voglio dare un ultimo consiglio: il sogno
sta per finire, quando ti sveglierai non ricorderai più nulla, se vuoi puoi
portare con te lo spillo, lo puoi nascondere nella lingua. Quella è e sarà la
nostra unica arma, tienila segreta e non usarla mai a vanvera ma solo come ti
piace perché ne uccide più la lingua della spada.
“Perché dici noi? Perché dovrei?” gli chiedo.
“Questo è affar tuo, noi ci vedremo ancora.”
Detto questo il somaro con un paf! si trasforma in un
uccellino e vola via scomparendo nell’oscurità del sogno.
“E adesso dove è andato?” Chiede Caterina.
“Affari suoi…” rispondo guardando la Pomona che nel
frattempo si è sdoppiata in due figure, il Toro e la Vacca.
Gli occhi sul sedere della ragna si sono rilassati, guardano
la nuova figura e Caterina dice: “Adesso sono due, sai…ti devo confessare una
cosa, sei decisamente villano ed i tuoi modi sono rozzi ma sto proprio bene con
te. Mei cousin sono raffinati e ben
educati ma con loro, come dire…è una cosa terra terra, sempre i soliti discorsi,
vestiti, soldi, maldicenze, oppio…con te invece sembra di stare in un sogno,
sei riuscita a trasportarmi dove non avrei mai creduto, perdonami se ogni tanto
sono scorbutica ma sono fatta così, le parole mi escono da sole. Parli come un
mago, anzi meglio perché qualche volta ti fai capire e sei solo un ragazzo.
Dove hai imparato?”
Me mi sento tutto ringalluzzito per il complimento, solo un
attimo perché riprendo subito il discorso tirando fuori dalla tasca la
conchiglia per mostrarla alla ragna.
“Dev’essere questa, ” dico,
“è in collegamento con tutti i me che sono stato. Perfino me certe volte
mi stupisco di quello che dico, questa conchiglia dev’essere una specie di
memoria portatile dove c’è tutto quello che si vuole sapere, la si può usare
quando si vuole, così è più semplice perché non mi piace ricordare le cose, mi
fa sentire la testa come un armadio.”
Caterina tira su dal naso è continua: “Sei proprio un mago,
tu non sai, le me cousine m’invidiano
tutte perché sono la più importante, io mi diverto un sacco a farle ingelosire,
loro fanno la faccia così ma io so cosa pensano veramente, io… oh! Cos’ho
detto?...tutte queste facce, adesso capisco ma…i maghi sono tipi strani e
sembrano disprezzare le donne invece noi, quando saremo sposati… le me cousine moriranno tutte di rabbia…tu
non sai ma io…tu però mi devi promettere che…ecco! Io lo so già, tu mi devi
promettere che non vedrai più…quella puttana! Non so neppure come si chiama,
scommetto con non se la lava e non si profuma neanche, la tua fata…guarda,
divento una furia solo a pensarci, riderebbero tutte, ti chiuderò…”
Lascio Caterina al suo monologo ed intanto vedo che il sogno
si sta sbrogliando attraverso le sue parole, qualsiasi cosa sia parla
automaticamente e le sue parole convergono ruotando sempre intorno allo stesso
tema, invidia e gelosia. L’intuizione continua a puntare verso l’uccello
decollato, la lettera T, i
lupi quando son saltati sulla luna avevano questa formazione e anche il
cimitero sulla luna, un uccello senza testa, sembra uno schema e sulla coda
appuntita c’era la Fata, anche lei mi ha fatto
capire di essere gelosa di Caterina…ci deve essere un collegamento.
Interrompo la ragna e con voce decisa dico: “Quante storie, chi ti ha detto che
ci sposeremo? Se anche fosse la prima cosa che farò sarà appenderti ad un
albero e ti darò tante di quelle frustate da lasciarti senza pelle, così
capirai subito con chi hai a che fare.”
Caterina rimane qualche secondo sorpresa poi si scioglie in
un brodo di giuggiole ed esclama sospirando: “Oh! Mio eroe…ho sempre sognato di
essere frustata da un uomo rozzo e crudele…”
Si interrompe per un nuovo cambiamento nella figura. Il toro
è diventato rosso di furia e nella sua bocca, aperta come la mona di una vacca
quando partorisce un vitello, ci sono la fata e Caterina nel suo aspetto umano.
Il toro le sta risucchiando, le ragazze sono nude ed imbrattate del loro
sangue, abbracciate in una stretta mortale dove si mordono l’un l’altra
lacerandosi la carne. L’immagine sviluppa, avviene una metamorfosi, mangiandosi
le parti mangiate da una vanno a sostituire quelle mangiate dall’altra
ricoprendo i vuoti ed in breve Caterina diventa la fata e la fata Caterina e
riprendono a mangiarsi ed a ricomporsi una nell’altra mentre il toro le
inghiotte lentamente.
“Questa non l’avrebbe saputa inventare neanche tuo padre!”
esclama Caterina e continua: “Però non mi piace affatto, ci sono io là e quella
puttana che poi sono io e lei…insomma! Cosa significa?”
Me stringo la conchiglia perché questa figura è proprio
difficile, l’intuizione risponde e vedo che la bocca del toro è quella di una
mona e se le mangia come una sborrata, è l’idea che entra…il cannibalismo delle
due appare di una passionalità selvaggia ed affascinante ma non mi faccio
incantare e rispondo: “Non lo vedi da te?...è la gelosia che vi divora ma è assurdo,
ci conosciamo appena, non ci siamo neppure baciati… sono parole, idee che
ritornano ogni volta le stesse…non può essere successo a noi, forse in un'altra
vita ed il sogno si ripete…e potrebbe ripetersi anche in futuro, per sempre.
Negando la fata ne prendi la forma e lo stesso per lei, la tua faccia davanti
potrebbe essere lei, due in un corpo che si odiano dilaniandosi, un nome ed una
forma, sembra un pendolo… questa cosa non mi piace, è evidente che il sogno
ubbidisce ad una legge naturale e la applica a qualsiasi cosa gli venga
sborrato dentro. Forse ha a che fare con le storie che ci hanno raccontato da
bambini, la moglie gelosa di Geus e la madre mortale di Giulio Cesare, chissà
quanto ci hai fantasticato da piccola credendoti una volta una ed una volta
l’altra.”
“Sì, questo può essere…forse, non solo…è successo anche a
mia nonna prima che si innamorasse del boscaiolo, amava follemente un uomo
molto più giovane di lei che lavorava nell’ospedale dei cattolici dove andava a
volte per farsi curare i nervi, un uomo bellissimo che in breve tempo grazie
alla sua influenza divenne primario. Era gelosissima di sua sorella e di tutte
quelle che lo avvicinavano, faceva continue scenate, urlava, spaccava tutto.
Poi avvenne uno scandalo che coinvolse il medico e questo si dimise
dall’ospedale e non si videro più. Io
ero bambina ed i servi non parlavano d’altro, spiavo i loro discorsi e poi…”
Risponde pensosa Caterina senza concludere.
“Tua nonna è lo specchio, forse quei servi sapevano che li
spiavi.”
La faccia davanti della ragna ha un singhiozzo e quella sul
sedere continua: “Non credere che sia scema, capisco benissimo, un grande
baraccone di attori…la nonna era un’attrice e guardando lei lo sono diventata
anch’io senza saperlo. Va bene, prometto che da questo momento cercherò di non
essere più gelosa…ma non è facile, mi rode dentro…”
“Faresti bene perché sono me che sogno la tua gelosia, forse
è in me che va cercata la causa. Se tua nonna era anche la mia vuol dire che
tuo padre ed il mio sono fratelli…siamo in un sogno ed i nomi rappresentano
solo i simboli, il re ed il boia, attori, forse anche loro da piccoli erano
gelosi l’uno dell’altro e poi si divisero i compiti e tutto per condizionare i
nostri sogni.
La figura cambia, adesso nella bocca del toro si vedono il
re ed il boia divorarsi e cambiarsi di forma.
“Facciamoli smettere!”
“E come?”
“Il somaro l’ha detto che sono grullo, quand’ero piccolo ero
proprio un credulone, adesso sembra ridicolo ma anche me quando sentivo le
storie di re e di principi sognavo di essere principe figlio di re e così il
boia mio padre diventava re ed il re che sognavo boia…poi crescendo ho
dimenticato questo sogno ma lui non deve essersi dimenticato ed è cresciuto in
me nutrendosi delle immagini che vedevo e così sei entrata tu, la tua gelosia e
la fata, questo sogno doveva esserci già, si carica ascoltando le favole dai
grandi…me forse ho capito, è proprio una grullaggine, il somaro dice bene che
ragionare è raglionare.”
Caterina, con lo sguardo assorto nel raglionamento continua:
“Allora…per dimostrarti che non sono scema te lo dico. Se il re è boia noi due
siamo fratelli…questa poi…anche Geus è sua moglie erano fratelli, così sentivo
dire dai servi.”
“Sì, li abbiamo davanti ben rappresentati, il toro e la
vacca, il maschio e la femmina ma uno è nome e l’altra forma, il toro è solo
una parola e rappresenta il linguaggio, una lingua…è nel toro, nel linguaggio
che la storia si ripete…dev’essere la favola che Geus rapisce la madre di
Giulio Cesare trasformato in toro, potrebbe voler dire che è stata una favola
raccontata che si impadronisce dell’umanità e la feconda dando origine al
figlio…del boia re. Questa storia l’abbiamo già vissuta, si ripete ogni volta
con gli stessi personaggi tramandata dal linguaggio…me ti volevo rapire ma
adesso che so come va a finire non ti rapisco più.”
Caterina sbotta: “Cosa dici? Tu mi hai rapita ed adesso mi
tieni.”
Ti ho rapita nel sogno ma nel sogno ti avevo già rapita e
poi che non ti rapirò più.”
“Poi quando se mi hai già rapita?”
“Quello che dici è
vero…ci deve essere un punto nel sogno avvenuto in un’altra vita dove ti
rapisco per la prima volta, è lì che non ti devo rapire, è nel linguaggio,
dovevano essere le mie parole che ti avevano rapita…”
L’intuizione mi blocca, rivedo i lupi correre la montagna ed
il salto finale e faccio subito il collegamento: “Quelle parole potrebbe dirle
chiunque e tu potresti crederlo me e saltare! Quel punto dev’essere stato un
giorno come oggi avvenuto tanto tempo fa, quel giorno…oggi, è una data, forse
la parola è una data.”
“Non c’ho capito un tubo!” Sbotta la ragna, “Allora tu chi sei?”
“Me sono il figlio del boia, è questo il nome che mi
chiamano. Siamo ancora in viaggio verso la stella polare, è nel tempo, le
figure che vediamo stanno andando indietro nel tempo, quando ti ho rapito la
prima volta dovevo aver dentro nel sogno il re ed il boia ma potrei non essere
stato me a rapirti ma qualcun altro che parlava come me…o forse copiava. Allora
adesso dovrebbe comparire il rapitore…doveva essere un boia re, un
castigamatti, qualcosa del genere.”
La figura non cambia, rimane la vacca immobile ed il toro
che ingoia l’idea. Le facce sembrano identiche ognuna col verme che penzola dal
naso e le corna, forse una chiama re il boia e l’altra boia il re, dopo, cioè
prima, ci deve essere una figura ambigua che esprime in sé ambedue i
significati. Sono me che sogno, potrei essere me, in tal caso le mie parole, me
sogno ma adesso sono sognato. Le parole, la lingua…il somaro ha detto che ci
devo nascondere lo spillo, è troppo grande, non ci starebbe…il gusto, forse lo
devo assaggiare, cosa costa?”
Prendo lo spillo e mi pungo la lingua. Lo spillo ha un
guizzo ed invece di toccare dove volevo scende nella gola alla base della
lingua e infilza qualcosa che inizia subito a dibattersi. Tiro fuori lo spillo,
attaccato è rimasto un grumo sanguigno a forma di T che a contatto con l’aria inizia a sfrigolare ed a
dissolversi fumando. Mentre la faccia davanti della ragna si mette ad ululare e
gemere come se gli avessero strappato il pungiglione il fumo avvolge il toro e
la vacca e sale a formare una terza figura che riconosco immediatamente: mio
padre, il boia, incoronato e vestito di porpora e oro su un trono di nubi
rimbombante di fulmini con in mano una mannara con la lama splendente come uno
spicchio di luna.
Nella bocca mona del toro ora ci sono due eserciti
luccicanti d’acciaio che si combattono all’ultimo sangue facendosi a pezzi l’un
l’altro ambedue riformandosi dai pezzi dell’altro.
La faccia sul sedere di Caterina non si è accorta di nulla e
guarda la nuova figura esclamando: “Quello è Geus! Al castello c’è un quadro
dove è proprio così, lo sapevo che l’avremmo trovato, finalmente, ero rimasta
quasi senza!”
Me faccio il collegamento e dico: “Tu lo vedi come un
dispensatore di medicine e questa può essere un’indicazione ma me vedo che
quello è Attila.”
La figura solleva lentamente il capo incoronato, mi guarda
ammiccando compiaciuto e dice:
“Figliolo, ti saresti mai immaginato di trovarmi qui?”
Caterina sbotta: “Attila? Come fai a dirlo?”
“Me lo immaginavo proprio così, con la faccia di mio padre.”
La principessa rimane pensierosa qualche secondo e continua:
“Va bene, sei tu che lo sogni, per me è Geus è non è un boia, è vestito da re,
insomma! Che fine ha fatto mio padre?”
“Tuo padre è a Fivizzano nel castello, qui c’è solo il suo
nome.”
“Dove? Non lo vedo.”
“Re è una parola, non si vede, la si dice e la sua forma è
il boia. Devono essere quei due eserciti che si stanno scannando, quelli che
vincono lo chiamano re e quelli che perdono boia poi la storia ricomincia e si
invertono i significati…”
Caterina ribatte piccata: “Vorresti dire che mio padre è re
solo di nome e non di fatto, quindi anch’io…”
“Be’… questo non so… stiamo andando a ritroso nel sogno
tramandato, forse Attila è stato il capostipite della tua famiglia.”
Caterina tira su dal naso compiaciuta ed esclama: “Allora è
il nonno! Avevo ragione quindi…sei tu che lo chiami Attila, quello è Geus.”
“No, è Attila, sono sicuro ma è strano, vedo che quei due
eserciti prima dovevano essere uno, hanno le stesse armature e cambiano solo le
insegne, bianche e nere…forse le storie che raccontano non sono del tutto vere,
ci deve essere stata una guerra civile o qualcosa del genere.”
Attila si alza in piedi ed allarga le braccia ammantate
d’ermellino, sopra di lui si accendono stelle come riflettori facendo luccicare
i monili d’oro tempestati di pietre preziose che lo ricoprono, di fronte, come
se parlasse da sopra il palco di un teatro, s’agita un mare tortuoso e buio
dondolante di braccia tese a mani aperte che escono da tombe scoperchiate con
voci invisibili che lo acclamano osannando tra il clangore della battaglia. Il
boia fa un leggero inchino, alza un braccio ruscellante di bracciali dorati per
chiedere silenzio ed al sopire delle voci dice, declamando e scandendo
lentamente le parole con voce sonante:
“Pubblico avaro di
sol dì felici
Presti e maldestri a
sobillar le braci
Su corpi feriti
piantati in croci
Dal vostro ardor
dagli occhi truci
Che nulla sente all’invocar di preci.”
Che nulla sente all’invocar di preci.”
Detto questo fa un lungo ululato ridondato dal pubblico
osannante ed al suo tacer riprende:
“Ode la foglia
stormir foresta
Desta la chioma del
guerrier prode
Arma la mano del
corno di sangue
Langue con or c’al core spalma
Storma d’ali a volar
sul mare esangue
Pingue a raccoglier e
a saziar mai colma.”
Si raccoglie in un attimo di silenzio e conclude con voce
paterna:
“Frusciar toccar la
mano in tasca
Masca con vasca a la
borsa riempir
Che tempo è di
festeggiar la pasca.”
Tace compiaciuto, tossisce per schiarirsi la voce, fa un
lungo ululato straziante poi alza la mannara e la cala violentemente su un
ceppo apparso lì per lì dov’è disteso il re, il padre di Caterina. La testa del
re, recisa al colpo, esplode in una pioggia di monetine insanguinate che
inondano il pubblico che le riceve a mani aperte contendendosele in una follia
di urtoni e bestemmie innominabili…
La ragna è sbalordita, scrolla gli occhi e stizza: “Non c’ho
capito un tubo, cos’è sta storia? Quello era mio padre, lo ha ammazzato!”
Me sono attento e leggo le parole dentro alle immagini, un
po’ disilluso, credevo che la parola fosse la libertà ed invece vedo che sono i
soldi, anzi il sangue, come fanno i
succhia monete di Casola. Intuisco che c’è ben altro ma per il momento dico:
“Non ti fare impressionare, non ha tagliato la testa a tuo padre ma al re.
Qualunque cosa sia stato comunque Attila doveva essere un attore.”
“Se lo dici tu…che vuol dire?”
Attila, dal teatro
diventato il palco del boia, sollevando la voce sul clamore della battaglia ed
il tafferuglio del pubblico, risponde:
“Del grave peso di
dar la pesca
All’amo ritto per far
da esca
Io son re di questa
tresca
Io sol do l’or alla
festa
Gioir fo lor fin
sulla cresta.”
Tace inchinandosi agli applausi fragorosi che giungono dal
pubblico e Caterina strilla: “Intanto hai tagliato la testa a mio padre, non ti
voglio più come nonno!”
Le sue parole si perdono inascoltate nel fragore
dell’ovazione.
Le accarezzo una zampa per rincuorarla e dico: “La testa l’ha
tagliata al re, una parola staccata dal corpo, il corpo di una parola è formato
da lettere, dev’essere qualcosa che c’era prima del re, la figura del toro e
della vacca, Attila doveva avere una
madre come quella di Giulio Cesare che era stata rapita dal toro, questa parola
è divisa, mad - re…se si riunisce diventa madre. Me vedo che avevo capito prima
di capire…”
Intorno al palco ora è tutto silenzioso, nella mona del toro
i soldati hanno smesso di combattersi e stanno lentamente svanendo, dal buio dietro le quinte esce una vecchia
raggrinzita e si va a sedere sulle gambe di Attila nuovamente assiso sul trono
tra le nubi.
“Quella è la nonna!” strilla Caterina.
“Sì, l’ho vista.”
La nonna ha una metamorfosi ed in un attimo diventa una
giovane bellissima, alta e slanciata, bruna con occhi nerissimi luccicanti di
stelle, nuda come non avevo mai visto la nudità, se così la si può intendere.
La donna ha abbracciato Attila,
gli sbaciucchia gli occhi e la barba e poi la bocca abbandonandosi ai sensi.
Come se avesse cambiato vento l’odore di uova marce svanisce sostituito da un
acre e penetrante odore di merda.
“Com’è bella…” sospira Caterina con la voce leggermente
piccata. Annusa l’aria e continua: “Che puzza…e questa da dove arriva?”
“Intendi la donna o la puzza?”
“Fai tu…”
“Spiritosa…stiamo andando indietro nel tempo, le figure sono
solo simboli. Me forse ho capito quello che deve essere successo ma a questo
punto non ha importanza perché nel sogno non c’è più e non si ripeterà. Andiamo
avanti, arrivati all’origine vedremo. Attila dev’essere quello che ti ha rapita
facendosi credere me, doveva avere bauli colmi di oro e di oppio.”
Caterina attenta dice: “Quella sono io? Magari…non vedi che
è bruna e io sono bionda, è bruna come…” con voce agra strilla: “La tua fata!
Così bella, io…”
“È vero, tu sei bionda ma prima mentre vi mangiavate
diventavi lei. Ci doveva essere qualcuno dietro Attila che lo istruiva e
manovrava, forse i magi, le cose devono essere andate diversamente da come
avevano progettato, la vediamo bruna perché nel sogno è così ma chi è che
raccontò il sogno?”
Caterina sbotta: “Non c’ho capito un tubo! Allora io sono la fata.”
“No, te sei te, la fata è la tua gelosia. Quella in braccio
a Attila è la tua gelosia, forse lo hai fatto per ripicca perché a me piaceva
lei…Adesso Attila dovrebbe…”
La figura risponde evolvendosi, la donna con gesti lascivi
artatamente erotici gli ha aperto il manto e tirato fuori un cazzo enorme e
duro poi si è chinata tra le sue gambe e lo ha ingoiato e adesso lo sta succhiano
con vorace voluttà. Nella mona del toro si vede la lettera T significata come un cazzo tra
due balle quindi come una siringa di sperma ideale. L’odore di merda si fa più
intenso.
“Oh oh!” sbuffa Caterina eccitata, “quelli fanno sul serio, la mia gelosia
dici?” la faccia sul suo sedere avvampa di rossore e grida: “Certo che lo
farei! Quella puttana, per chi mi hai presa?”
Il cazzo è diventato enorme, la gelosia si siede a
cavalcioni sulle gambe di Attila e se lo infila nella mona mettendosi subito a
cavalcare con foga selvaggia. L’odore di merda aumenta.
La ragna avvampa sbavando: “Così, dai!…mi piacerebbe
proprio, ho visto tante volte farlo ai servi quando li spiavo ma questo è
proprio eccitante. Quell’Attila doveva essere un gigante, un…”
“Saresti una bella moglie se ti sposassi…e sei gelosa…” dico
ridendo, “Attila non centra, è solo un
portatore di cazzo come il paggio di ser P, è l’idea da tramandare che sta
fecondando la gelosia, ecco! Attila è venuto, adesso gliela sta sborrando
dentro.”
Caterina osserva la scena e con voce rauca di libidine
continua: “Però…bella gelosia, ma quella è la fata, tu non sei geloso?”
“Ho visto tante volte farlo ai maiali, ai cani, ai cavalli…e
non sono mai stato geloso, perché dovrei esserlo adesso?”
La ragna rimane qualche secondo a rimuginare le parole e
risponde: “Ah…tu la vedi così! Non ci posso credere, come fai a non essere
geloso?”
Me seguo il filo e dico: “Il geloso dev’essere quello che tu
ti credi che sia che non sono me.”
“E chi è?”
“Attila, è quello che si vede ma è solo il simbolo di tutti
i gelosi.”
“Aspetta, fammi capire…” mormora Caterina sempre più attenta
e eccitata, “Allora quei due sono il
geloso e la gelosia!”
“Sì, è proprio così, il sogno che verrà tramandato.”
La gelosia, con la mona grondante sperma, si e nuovamente
chinata ripulendo con la lingua i rimasugli d’idea dall’enorme cazzo del geloso
poi ancheggiando come una sirena che nuota tra le onde è risalita sulle sue
gambe infilandosi il cazzo nell’ano e si è rimessa a cavalcare a briglia di collo.
Dall’ano squarciato escono rivoli di diarrea insanguinata che colano sul cazzo
spandendosi ovunque. L’odore di merda è diventato pesante come una macina da
mulino che ruota.
Caterina non sembra sentirlo e commenta a bocca spalancata:
“Però…ci danno alla grande, questo sogno è proprio arrappante!”
Me vedo solo parole su un filo che scorre e dove portano,
sognato in un sogno, la direzione può essere solo questa e la dico:
“Le donne…ho sentito tante volte il mago dire che non hanno
cervello e stanno tutte nella loro mona come le bestie, se non impari a
controllare i tuoi appetiti chiunque potrebbe abbindolarti e farti fare quello
che vuole.”
Caterina ribatte adirata: “Questo lo dici tu! Non
dimenticare che sono la principessa ed i miei desideri sono ordini!”
“Parli di un burattino che se gli dici sì risponde no e se
gli dici no risponde sì. Sul palco del boia ho visto squartare tante donne e un
po’ di queste cose me ne intendo. Il geloso ha fecondato la gelosia, ora l’idea
è in embrione e sta crescendo, un feto. È il sogno, lo dobbiamo portare
indietro al punto prima che tu diventi gelosa.”
Caterina diventa assorta e chiede: “E quando? Io sono sempre
stata gelosa, se non è questo è quello, non ci posso fare niente, sono così!”
“Il sogno è tramandato, forse centra l’oppio,
anzi…dev’essere lui, la medicina ti addormenta il corpo che neghi per stare nel
tuo nome dove sei principessa, un corpo che può esistere solo nei sogni ma il
tuo vero corpo, quello che neghi, prima di essere te è stato un feto dentro un
ventre materno ed il feto per tutto il tempo che rimane chiuso nella pancia
vive a contatto con il piscio, il mestruo, la merda e probabilmente se ne
nutre.”
Caterina esplode: “Sei proprio un villano! Come osi parlare
così, è rivoltante!”
“Vuoi dire che ti stai girando, l’oppio è affare tuo ma
intanto quel feto che neghi sei tu, la faccia che mascheri nel sogno. La storia
è solo una ripicca tra femmine invidiose e quello che succede dopo non ha più
importanza, ora la direzione è rivolta all’origine, quando la madre non ha
concepito e quindi non è madre, è una parola,
le lettere si possono anagrammare e madre diventa merda, la merda che
avvolge e che nutre il feto.”
“Che schifo!”
“Sono parole, non hanno nessun odore, niente. La figura è
naturale, quasi tutti gli uccelli cagano
una merda con dentro un seme che si nutrirà e germoglierà da questa. Una
merda da assaggiare, da intingerci la lingua…dov’è finito lo spillo? Adesso
capisco, era già nascosto e l’ho sguainato, me lo sento puntuto ed affilato,
una lingua da ficcare nella merda…”
La figura cambia in un turbinoso rivoltarsi di significati,
il geloso e la gelosia scompaiono, il toro sputa l’uccello decollato dalla mona
e si riunisce alla vacca nella Pomona, le corna si staccano e rimangono sospese
in aria come uno spicchio di luna, la mona si chiude e riappare il Pomo questa
volta senza verme. Lo spicchio di luna inizia a battere i corni come ali e
l’immagine riprende a zoomare, Il Pomo si trasforma in una merda immensa,
avvicinandosi va in frantumi dividendosi in dodici grossi pezzi di merda in
cerchio attorno ad un merdino sopra cui scaturisce una sfavillante lingua di
fuoco.
“Siamo arrivati, l’oroscopo è fatto, ora possiamo tornare.”
Caterina tira su dal naso secco e chiede: “Vuoi dire che tutto
finisce in merda? Non ti interessa sapere chi è l’uccello che l’ha cagata?”
“Non può essere qui. Quello che vediamo è il suo seme, ora
dobbiamo andare a raccoglierne il frutto, il sogno è stato ripulito, non
abbiamo altro da fare, andiamo.”
Gli occhi sul sedere della ragna si fanno cupi, tira su dal
naso più volte di seguito sempre a secco e dice: “Questo sogno è…non mi sono
più fatta un tirino da quando…mi ha proprio presa. Va be’, torniamo ma come
pensi di fare a tornare?”
Me la guardo un po’ allarmato e rispondo: “Avevi detto di
aver lasciato il filo.”
“Il filo l’ho lasciato ma…che sarà di me quando ti
risveglierai?”
“Ti risveglierai anche tu, che domande fai?”
Caterina scrolla il sedere e continua: “Questo lo dici tu,
mi devi portare con te, non ci voglio più stare con i ragni.”
“Come faccio a portarti, tu sei un sogno, ti puoi solo
svegliare.”
“Tu dici? Sarà ma come faccio a essere certa?” Si guarda
intorno, soppesa la situazione e riprende: “Va bene, torniamo, ne parleremo
dopo.”
La ragna mi fa salire in groppa, richiama a sé il filo dalla
filiera con le lunghe zampe ed inizia a tirarlo vigorosamente con quattro
mentre con le altre quattro lo raggomitola via via che procediamo. In un attimo
siamo in vista della porta degli enigmisti, la superiamo e qui si ferma per
sganciare il filo da dove lo aveva fissato quindi lo srotola nuovamente in
direzione del suo regno, attende che si fissi da qualche parte e riprende a
tirarlo e raggomitolarlo fin quando arriviamo e ci posiamo a terra.
La pioggia di farfalline luminose continua incessante
creando con i suoi riflessi un giardino di fiori ed alberi luccicanti tutto
intorno, sui rami le facce di culo di ragni sono in agitazione, molti battono i
coperchi al nostro arrivo, forse è il loro modo di accogliere gli ospiti ma su
questo non sono certo.
Caterina non sembra curarsene, allarga le fila del gomitolo
e me lo recinta tutto intorno poi dice, rivolta alla sua faccia sul collo: “Hai
sentito quello che ha detto?”
La ragna si gira con la faccia davanti verso di me e
risponde: “Eccome! Volevo proprio vedere dove arrivava questo traditore!” poi,
rivolta alla faccia dietro: “È da un po’ che ti faccio segni, volevo
avvertirti, tu pensavi solo a lui!”
Me sono…non posso dire sorpreso perché lo intuivo ma
comunque qualcosa del genere, la faccia davanti della ragna è quella della
fata, dove i ragni hanno il pungiglione
adesso non c’è più, al suo posto sul naso si vede una chiazza arrossata
da grumi sanguigni.
La fata continua, parlando al sedere: “Mentre ti abbindolava
con le sue parole mi ha strappato il pungiglione e adesso non possiamo fargli
più niente!”
La ragna si rigira e appare Caterina: “Come sarebbe? Che
vuol dire?”
Si rigira e la fata risponde: “Che siamo senza veleno!” poi
si rivolge a me e dice: “Avevi promesso che avresti amato solo me e come l’hai
vista hai cambiato faccia, ti odio!”
Si rigira e Caterina continua graffiante ed inferocita: “Tu
mi hai ingannata e disarmata, mi hai usata perché non sapevi come andare sui
fili ed adesso, pungiglione o non pungiglione non credere di cavartela, ti
legherò come un salame se non mi porti con te.”
Tutti questi giramenti di faccia, me ho capito che sono me
ma quale me? Tocco la conchiglia e vedo che la filosofia vola sull’aere dei
concetti puri e porta inevitabilmente a non considerare quelli terra terra, me
capisco subito che dev’essere una cazzata, il cazzo, la siringa di sborra
ideale era il significato finale dell’uccello decollato, un uccello staccato
non della sola testa ma dall’intero corpo. La figura di un eunuco… dai puri
concetti al terra terra bisogna fare una picchiata e atterrare cauti quindi
riportare tutto ad un concetto puro.
Un mondo di parole accostate tra loro a formar figure che
determinano e condizionano il sogno. L’asino ha detto che ragionare è raglionare,
le parole hanno invertito i loro significati originali e la storia vive in
conflitto di essere e non essere non riconoscendo tali significati. La
conchiglia si scalda e vedo che la filosofia è la pura essenza di tali parole,
la trama che le unisce è non è ragione ma poetica intesa come una fonte che
sgorga spontanea. Il significato si stacca dalla parola e la fontana liberata
da ogni pregiudizio rimane puro concetto inesauribile fonte di sorpresa.
Il cielo sopra il regno
delle facce di culo si accende di stelle ognuna compresa in una
costellazione che da forma alle favole che condizionano il sogno, vedo il Pan
Dragon, l’Arciere che lo caccia, il Cancro che lo morde e tutte le altre che
ruotano in conseguenza, la loro luce è tremula come una candela che si sta
spegnendo, la trama che le tesseva sta cedendo, i loro corpi si sgretolano
trasformandosi in una nube fatua da cui escono lettere che cadono lentamente a
terra.
Tutt’intorno si vedono piovere lettere soffici come neve,
anche le facce di culo di ragni sui rami si stanno liquefando. Caterina mi
guarda ancora in attesa della risposta e sbotta: “Allora, mi porti o non mi
porti?”
Me provo a dirla come viene: “Me ti porterei ma poi? Qui sei
la principessa, con me saresti una qualsiasi e per vivere dovresti fare la
serva, ti piacerebbe?”
Caterina rimane sovrappensiero soppesando le parole e
risponde: “Chi ti ha detto che farò la serva? Potremmo andare ad Asti nel
ducato di mia madre dove non ti conosce nessuno e lì troveremo il modo di
farcela bene.”
La ragna si gira e la fata, con voce adirata, strilla:
“Questo te lo sogni! Lui sposerà me e nessun’altra, diventerà il capo dei
briganti e conquisteremo il mondo!”
“La ragna si rigira e Caterina grida: “Puttana! Te lo puoi
scordare, lui ama solo me!”
La faccia ed il culo continuano a rimbeccarsi snocciolando
tutte le possibilità che racchiudevano, parole lettere che vanno ad aggiungersi
alla nevicata. Le lascio girare fin quando si stancano e poi dico: “Voi siete
malate, è la gelosia che vi rode, forse è il veleno che vi ho strappato quando
ho assaggiato lo spillo, eravate attaccate alla mia lingua, al linguaggio, e
non vi siete accorte che adesso non siete più gelose. Il geloso era Attila che
non sono me, voi mi state scambiando per lui, per un altro.”
Caterina ribatte: “Non c’ho capito un tubo! Come sarebbe non
sono più gelosa, allora lei chi è?”
La ragna si gira e la fata ringhia: “Tu…” poi diventa
assorta e continua con voce incerta: “È vero, non me ne frega più niente, che
me ne faccio di uno che cambia faccia ogni momento?”
Si rigira e Caterina conferma: “Hai ragione, che me ne
faccio?”
Me vedo il punto e dico: “Questa dev’essere la scusa che
trovate ogni volta per tradirmi con Attila, chi sia non importa, finora ho
sentito parlare solo voi, mi piacerebbe sapere il parere della vostra mona.”
“Quale mona?” chiede spaventata Caterina, “Quella è la sua, non senti come puzza?”
La ragna si gira e la fata esplode: “Come sarebbe, mia?
Quella è la tua, la mia non ha mai puzzato così!”
Intervengo per dire: “Vi negate ambedue la mona, è un fatto,
forse è per questo che non parla.”
La fata continua: “Cosa nego se non è mia?” cambia discorso
e dice: “Ammettiamo che non sono più gelosa, credi forse che ti dividerei con
quella puzzona?”
La ragna si gira e Caterina ribatte: “Già…credi che mi
adatterei a vivere con quella puttana? Come conti di fare?”
“Me una idea ce l’avrei…potrei caricarvi su un carro magari
con qualcun'altra e scappare da Casola poi vi porterei a battere i
paesi…conoscendo le vostre inclinazioni faremmo un sacco di soldi che
divideremo a metà e saremmo sempre ognuno per sé senza catene che ci legano.”
Caterina rimane
incantata a guardare le parole e dice: “Questa poi, non so proprio che dire.”
La ragna si gira e la fata aggiunge: “Questo non l’avevo ancora
sognato però…non mi sorprende, anzi…forse l’avevo sognato ma non ricordo
quando.”
Riappare Caterina e continua: “Anch’io…dev’essere stato in
un'altra vita…però…tu che cosa farai?”
“Me curerò gli affari della ditta e quando vedrò che una
rende poco la tirerò su con la
pubblicità.”
Appare la fata e dice: “Sembra proprio un altro mondo.”
Me intervengo: “Allora facciamo così ma prima voglio sentire
il parere della vostra mona. La negate tutte due quindi dev’essere un’altra. Se
permettete la potrei assaggiare con la lingua e dal gusto capire chi è.”
Caterina strilla: “Tu assaggeresti la mona di quella
puttana? Non ti guarderei più in faccia!”
Si gira e la fata ringhia: “Leccheresti la mona a quella
puzzona? Non ti toccherei più nemmeno con un dito!”
Me vedo il tasto dolente e dico: “Va bene, quella mona non
siete ne una ne l’altra però siete la stessa ragna, forse non parla perché se è
voi due non è lei, forse non esiste nemmeno. Il sogno ha la forma di
quell’uccello decollato, la T,
sembra una peretta, quella cosa che usano per fare i cristeri, me credo di
sapere cosa c’è nella vostra mona, è vero che puzza ma me la voglio assaggiare
lo stesso, la peretta si carica ma poi si svuota e dev’essere nuovamente
riempita, è una peretta che fa sognare e dev’essera piena di…”
Caterina sbotta: “Se vuoi assaggiarla assaggiala, affari
tuoi, non guarderò.”
“Anch’io!” ribatte al giro la fata.
“Allora coricati e apri bene le gambe che ti ficco la
lingua.”
La ragna si capovolge con le zampe per aria, mi avvicino
alla mona e la tocco con la punta della lingua. Lo spillo fora la mona, si
sente uno scoppio e tutta la boria esce dalla peretta. Come un pallone che si
svuota diventa sempre più piccolo la ragna e tutto il bosco delle facce di culo
si sgonfiano piroettando per aria ed alla fine rimane un grumo di sangue che
diventa una lettera, una T
che svolazza per aria a fondersi con la nevicata tra le altre lettere.
Tutte le favole si sono sciolte in un tappeto di lettere da
ricomporre in parole, frasi, periodi, sento che il sogno sta per finire e mi
sto svegliando, la fila di me ognuna puntata sulla data di oggi rientra fino
alla porta del sogno, mi sento proiettato come una meteora, una cannonata che
colpisce la sfera mandandola in frantumi, nello stesso momento sento un boato,
un tuono e poi come tutta una montagna che frana.
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