4) Contra punctum. (La vera storia del dottor Faust)
Uno zampillo di sangue accompagnò le ultime parole e scese
scorrendo giù per il canale verso l’esercito sterminato di morti che ci
seguiva. Avevamo seguito la favola con attenzione godendoci le raffinatezze
stilistiche dell’autore senza però rimanere sorpresi. Dalla figa della storia
non usciva più sangue e le sua labbra stavano contraendosi e vibravano di
conati quasi fosse in procinto di partorire.
Il rabbino era seduto sulla riva col corpo chino e
sogghignava silenziosamente da sotto il cappuccio, Esopo guardava con occhi
vuoti davanti a sé rispecchiando quello che vedeva. Il silenzio gravava come un
macigno sospeso sui nostri pensieri, lo rompemmo dicendo: “Una rivolta di
schiavi e poi arrivò Attila a sistemare le cose ma prima ci fu una guerra
civile che esaurì ogni possibilità di difesa. Della storia conosciamo solo le
menzogne ma ogni menzogna ha in sé un grumo di verità che la rende probabile,
qualcosa di simile a quel che scrive Tacito di Vespasiano ed al mito di
Alessandro Magno, alla sua morte l’impero si sgretolò ma i generali che aveva
messo a capo delle province rimasero e perpetuarono il nuovo assetto politico.
Fu Attila il padre dei nobili, fu lui che li creò. Una rivolta di schiavi
divisi da liberi e non liberi, un ritorno di Spartaco ma con un finale diverso
e i non liberi presero il potere cambiando le lettere del loro nome in nobili.
Una mentalità condizionata da secoli di
schiavitù, forgiata per essere quel che è.”
Facemmo scostare Esopo per dare una solenne pacca sulla
spalla del rabbino e esclamammo: “Come i tuoi ebrei!”
Il rabbino sussultò al colpo e ribattè: “Tu vaneggi, non
vedi la necessità dialettica, continui a ragionare in termini di bene e di male
come quegli schiavi.”
“Questo è quello che sembra ma noi andiamo oltre le nostre
parole e non stiamo affatto giudicando: il totem preumano, la superbia, il palo
dov’è impalato l’ebreo dal cui sangue che cola si nutrono i nobili inglesi
messi ad esempio per il mondo, una banca che nutre un movimento d’opinione di
drogati per trascinare la storia al suo ripetersi.”
Il rabbino rise emettendo un nitrito e disse: “Ebbene,
questa è la volontà di Dio, lui creò il mondo e dispose per esso. Tu non ti
puoi opporre alla storia perché contraddiresti la sua volontà e sai cosa
intendo.”
“Una parola non è la forma, siamo d’accordo. Mettiamola
così, siamo noi, l’uccello, il cavallo politico ed il porta zecche, la figura è
estetica, sono i nostri vestiti che stonano, dovremmo protestare con il sarto
che li confezionò, se è quello che intendi. Questo viaggio deve continuare, lo
vedi anche tu che le zecche stanno per finire, come credi di fare senza di
loro?”
“Questo è affar tuo, sei tu l’uccello…” rispose ambiguamente
il rabbino.
Staccammo una zecca ad Esopo e ce la facemmo scoppiare in
bocca, il sangue ce la addolcì, lui ci guardò sospirando con gli occhi gonfi di
lacrime e noi gli chiedemmo:
“Esopo, la tua è angoscia, vorresti dire che c’eri anche allora?”
“Perdonatemi…” balbettò il servo piangendo, “Sì, a quei tempi dirigevo la banca dei Medi
a Firenze ma andavo spesso a Casola per vedere il mago della Lunigiana e
prendere ordini.” Guardò il rabbino e continuò: “Reverendo, ricorda?”
Il rabbino alzò una spalla crucciato e non disse nulla. Noi
ci rivolgemmo a Esopo e chiedemmo ancora pur conoscendo la risposta: “Quindi
sai come andò a finire?”
“Perdonatemi…ma come? Lei…un uomo dotto,
un…filosofo…perdonatemi…” si arrestò un attimo per soffiarsi rumorosamente il
naso con due dita e continuò tra le lacrime: “Ma come? Glielo ho appena
raccontato, vuole che ricominci?”
“Vorresti dire che Merdino non uscì dal labirinto del Minitauro?”
“Perdonatemi…lei prima ha detto che poteva aver trovato
un’altra uscita, perdonatemi…m’ha fatto sperare…”
Noi facemmo il collegamento ma non eravamo certi del modo,
in un mondo di parole significate a priori anche la morte è un pregiudizio
etichettato, poteva essere una morte sociale ed in tal caso poteva essere stata
decisa dopo, forse per un imprevisto…avevamo l’esempio per il confronto e la
cosa ci stuzzicava.
Esopo continuò: “Conoscevo Merdino, era un ragazzino,
l’avevo visto qualche volta sul palco del boia ad aiutare il padre,
era…perdonatemi, non so come dire, aveva un fluido, qualcosa che…io, dentro di
me…perdonatemi…non avevo mai smesso di cercare l’uccello e quando lo guardavo…in
mezzo a tutto quel sangue…non so se può capire…era come una sensazione, come se
sentissi un richiamo…la notizia della sua morte venne comunicata al mago
proprio mentre ero con lui a discutere di soldi…ricordo che impallidì e mi
congedò subito frettolosamente ordinandomi pena la testa di dimenticare quello
che avevo sentito…rabbino, glielo dica lei.”
Il rabbino sghignazzò sornione e disse: “Non puoi essere
certo di nulla, la cosa poteva essere stata prevista e voluta proprio come è
andata.”
“È vero ma da chi?”.
Merdino aveva rotto la sfera dell’immaginario, sentivamo
l’indecisione della storia a proseguire, impostata la causa le probabilità si
aprivano ad un’esplosione di effetti che coinvolgevano gradatamente tutto il
mondo di allora per ripetersi al futuro. La trascendenza aveva esaurito la
sabbia e doveva girare la clessidra per un nuovo ciclo della storia. Ci
sentivamo chiusi in una prigione inesorabile, continuare era la sfida ma non
vedevamo la direzione da prendere. Fissai il punto dell’immagine, a quei tempi
i computer non erano ancora stati inventati e la definizione esatta la possiamo
vedere solo adesso, parole chiuse dentro lo schermo di un computer che si
evolvevano in una narrazione lasciando dietro di sé una lunga scia di lettere,
parole che racchiudevano in sintesi la figura complessa dell’uccello arlecchino
della specie preumana. Provammo a tastare il terreno e domandammo ad Esopo: “Il corpo di Merdino
venne ritrovato?”
Il servo si passò una mano sugli occhi velati e poi la alzò
a visiera per guardare:
“Perdonatemi…No, anzi…nessuno ne parlò almeno per il momento
ma poi…non è che sappia molto, in quei giorni stavo definendo con il mago i
dettagli per il mio trasferimento a Londra dove il banco voleva ampliare la
filiale. Erano tempi difficili, i paesi erano sovraffollati, la miseria
spingeva torme di affamati per le strade a chiedere l’elemosina, tutti
vaneggiavano la fine del mondo. Perdonatemi, io…la fame è una cosa che…lo
chieda alle mie zecche, loro sanno…”
Guardò il rabbino per chiedere una conferma, il prete evitò
lo sguardo sbruffando, Esopo si raccolse acuendo la vista e continuò:
“Perdonatemi, poi…allora le dico quello che so…o non so…molti nomi sono stati
cambiati e non è facile ricordare…il giorno dopo che al mago fu annunciata la
morte di Merdino nel mulino che
riforniva il pane a Casola ed ai paesi vicini avvenne uno feroce delitto, il
mugnaio e l’intera famiglia vennero assassinati e la cosa creò un enorme
scalpore. Gli sbirri fecero le indagini ed in pochi giorni saltò fuori il
colpevole, almeno così si disse allora, poi…perdonatemi, erano tutti
pazzi…arrestarono un uomo che viveva d’elemosine nell’ospedale dei cattolici.
Lo ha visto nel sogno…il dottor Faust, questi era stato un tempo primario
dell’ospedale poi venne travolto da uno scandalo e…la cosa ebbe una risonanza
in tutto il mondo…perdonatemi, c’erano di mezzo anche regine e mogli di ricchi
mercanti…era molto ricercato e abile nel suo mestiere, aveva ideato una terapia
che si basava su uno strumento di sua invenzione, la siringa…perdonatemi, era
una peretta a stantuffo con la forma di una T,
la usava per fare i cristeri d’oppio e per questo era stato soprannominato il
Cristo…inoltre girava voce che avesse un pene enorme e forse era quello che
usava come peretta visto il successo che aveva con le donne ed anche con molti
uomini. Quell’ospedale era un manicomio ma i ricoverati lo chiamavano il
Paradiso.”
Si interruppe un attimo vagando gli occhi vuoti nel ricordo
e continuò: “Un bel giorno si venne a sapere che aveva dato generalità false e
che in realtà era figlio di Arminio, un generale dell’esercito tedesco che
aveva portato al massacro una legione di italiani durante una missione in Asia.
A quei tempi era tutto un mondo e italiani e tedeschi si chiamavano con un
altro nome, adesso sembra, ma allora…questa cosa aveva creato una divisione
nell’esercito perché i tedeschi rifiutavano l’accusa rigettandola al comando
italiano che aveva ordinato l’impresa senza valutarne i rischi. Il generale
tedesco era stato giustiziato e questo aveva innescato una miccia
che…poi…perdonatemi, il falso medico si
dimise ma rimase a vivere nell’ospedale, c’era chi diceva che continuava ad
esercitare in segreto ma erano solo voci…una volta lo vidi, stava in una
capanna tra le ville dei malati, questi erano tutti parenti di nobili o ricchi
mercanti presi dal male del lupo provenienti da ogni parte dell’impero…stavano
intorno a lui come scimmie imitando ogni suo movimento. Fu la sua esecuzione, perdonatemi, una
cosa…per evitare che il condannato volasse via come era avvenuto l’ultima volta
il mago aveva ordinato che venisse inchiodato alla croce. Questa la eressero
fuori le porte del Paradiso di fronte la piana di Vigneta, la notizia aveva
fatto scalpore e fin dal giorno prima cominciarono a radunarsi folle di spettatori,
arrivarono a miliaia, perdonatemi…c’erano anche moltissimi nobili, avevano
eretto i loro palchi sulle mura dell’ospedale, su tutti spiccava quello del re
ma la regina non c’era. Per fatti avvenuti in passato che la vedevano coinvolta
con il condannato era stata mandata ad Asti e Caterina era andata con lei.
Tutti si aspettavano un miracolo come l’altra volta, quel medico aveva una
grande fama, lui aveva…una pietra, nessuno osava toccargliela perché c’era una
maledizione… perdonatemi, leggende…io non
so…avevano paura, dicevano che…forse potrei confondere, ne ho visti tanti
e…comunque lo portarono al patibolo, la piana era gremita, si vedeva gente
assiepata anche sui colli vicini. Il boia aveva un aiutante nuovo che visto da
lontano poteva sembrare Merdino, era più grosso ma nessuno ci fece caso. Il
condannato venne portato su un carro insieme alla pietra e questa quando passarono davanti all’aiutante del boia rotolò giù ed andò a fermarsi ai suoi
piedi. Il ragazzo la raccolse e la alzò…era una pietra semisferica con la
superfice irregolare, nera, cava all’interno, sembrava di vetro, la cosa la
videro tutti e ci fu un silenzio e poi…il medico venne inchiodato alla croce,
nudo con solo una fascia che gli copriva i genitali, era vecchio ma ancora molto
robusto, il boia non lo torturò, gli diede qualche frustata per insanguinargli
il corpo e lo lasciò lì a morire. In quei giorni erano stati catturati anche
due pericolosi briganti, la notizia era passata in secondo piano e vennero
crocifissi ai suoi lati, questi avevano le membra distorte dalla tortura e gli
era stata tagliata la lingua, uno aveva il volto tumefatto dalle ferite
ed era irriconoscibile.
Nella calca, come
avveniva spesso a quei tempi, c’erano malati, paralitici, sordomuti, ciechi ed
anche morti su portantine alla ricerca di un miracolo, si credeva che i
condannati vicini alla morte entrassero in contatto con Geus e che potessero
intercedere in qualche modo ma il medico, dopo quello che era successo nell’ultima
esecuzione e per la sua fama ne aveva richiamati a migliaia e tutti si
accalcavano ai piedi del colle con folle speranza. I briganti morirono dopo
poche ore invece lui passò il giorno e la notte ed il mattino dopo era ancora
vivo, la folla nel frattempo era aumentata, sembrava un mare nero agitato di
tempesta. Fu all’alba che cominciarono i miracoli, ciechi che vedevano, storpi
che camminavano, un morto si alzò dalla lettiga acclamandolo figlio di Geus a
braccia tese… andò avanti fino alla sera quando morì… allora, per evitare che
la folla lo facesse a pezzi per avere una sua reliquia un cordone di soldati
aveva circondato la zona, gli diedero un colpo di lancia nel costato che videro
tutti ed appena fu buio lo deposero dalla croce e portarono via.
La cosa continuò con strascichi impressionanti, la notizia
dei miracoli fece il giro del mondo, in Germania l’esercito quando apprese che
avevano giustiziato il figlio di Arminio diede inizio alla ribellione che portò
alla guerra civile, poi, perdonatemi…era la fine di un mondo, tutto sembrava
incendiarsi…a Casola avvennero cose che…non so, quella pietra, l’aiutante del
boia non era Merdino ma tanti non lo avevano mai visto e lo presero per tale,
lo circondavano per chiedere miracoli, iniziarono a seguirlo ovunque
andasse…lui parlava stando sopra la pietra ma ci furono fatti che diedero
inizio alla leggenda di un altro Merdino perché quelli che lo conoscevano
avevano capito che non era lui. Cominciarono a circolare altre pietre del tutto
identiche alla prima, i proprietari dicevano di averle comprate proprio da
Merdino, l’aiutante del boia negava di averle vendute, erano in tutto dodici,
in breve si ritrovarono in cerchio nella piazza di Casola ognuno sulla sua
pietra ad insultarsi e ad imbonire la ressa che li guardava e poi ognuno prese
la sua strada con una folla di postulanti che lo seguiva. Il resto…
perdonatemi…il mago affrettò i preparativi e dovetti partire per Londra ma
questa è un'altra storia.”
Guardammo la figura, la pietra, il macigno che gravava, il
suo trasferimento da un mondo all’altro, il modo era spettacolare e la sintesi
ci divertiva. Demmo una pacca sulla spalla del rabbino ed esclamammo: “Cosa
sarebbe senza di te!”
Il rabbino ci puntò l’unico occhio facendolo saettare e
rispose aspro: “Tu stai giocando col fuoco, il fuoco brucia, fa attenzione.”
“Fuoco contro fuoco si spegne…” rispondemmo senza
riflettere.
Vedevamo l’ineluttabilità del fato e nello stesso tempo
sapevamo che eravamo solo un sogno sognato da un sognatore che non lasciava
nulla al caso. La nostra attenzione si era concentrata sul macigno, la nostra
cultura era vasta e spaziava su ogni campo dello scibile umano ma la sentivamo
in noi come qualcosa di immensamente
cretino, un giudizio che pesava come tale. Il nome non è forma ed il macigno
cercava di sovrapporsi ad esso. Noi sapevamo che era solo questione di
pazienza, di saper aspettare ingannando il tempo che ancora restava per il
compiersi del sogno. Collegammo il macigno alla pietra che sostituì Zeus nello
stomaco di Crono e che poi il Tempo vomitò insieme agli altri fratelli
ingoiati, quel Crono doveva avere uno stomaco che non digeriva. Sviluppata l’immagine l’associammo ai
comizianti dell’antica Roma, se mai quella Roma sia esistita, che recavano
notizie raccontandole a pagamento da sopra una pietra. A quei tempi i giornalisti non erano ancora
stati inventati e si chiamavano Pasquini, i passa parola, i battitori di tam
tam della giungla preumana.
La figa della storia si contrasse emettendo un gemito sordo,
sbuffò una nuvola di vapore maleodorante a cui seguì un rivolo d’acqua
putrescente e subito dopo abortì l’ombra di un grosso rospo che senza perder
tempo corse saltellando giù dal canale andando ad unirsi alle schiere di morti
che ci seguivano.
Le labbra si rilassarono, dalla piega superiore sbocciò un
corposo clitoride sanguigno profumato di spuma di mare frizzante di vento e
l’aria sembrò illuminarsi.
Epilogo
Un passo indietro nel soffitto del mulino dei briganti, si
vedono Archide e Mora seduti al tavolo della sfera che guardano Merdino
addormentato proprio mentre lui sogna di passare l’arcobaleno con la ragna e
arriva al pomo bacato. Merdino è steso con la testa sul tavolo, i suoi capelli sono
tutti ritti percorsi da scintille crepitanti che saettano verso la sfera come
se comunicasse con lei. La sfera si è arrossata e le statuine sul tavolo si son
messe a vibrare, si sentono leggeri cigolii e tutto il tavolo sfrigola di
elettricità.
Archide dice con tono sorpreso: “È arrivato, ci è riuscito.”
Mora chiede: “Tu non lo credevi capace?”
“Non è vero, sapevamo che ce l’avrebbe fatta, tutto procede
come previsto. Le vere difficoltà per lui cominciano ora, i guardiani del sogno
non si faranno fregare facilmente.”
Mora posa il tombolo con il ricamo, beve un sorso di vino
poi guardandolo con occhi gravi dice: “Sono in gioco il lavoro di miliaia di
anni tessuto ora dopo ora con pazienza infinita, forse il nostro è stato un
azzardo, lui potrebbe convincere i guardiani alla sua volontà, sai che lo può
fare.”
Archide scuote la testa ridendo e continua: “Impossibile, è
una macchina, non si possono convincere.”
“Lui potrebbe capirlo.”
“In tal caso così deve essere, il nostro compito è la sua
distruzione, lui lo doveva sapere, domanda e risposta cresce la storia, ognuno
ha il suo ruolo, guardiamo quel che succede e qualsiasi cosa sapremo trovare la
risposta, è la dialettica del sistema.”
Moro riprende il ricamo al tombolo e continua, con voce
ironica: “Tu stai sperando di non essere un suo strumento, sperare non è da te,
la risposta è effetto della domanda e la causa chiede quello che vuole.”
Archide rimane silenzioso a seguire gli eventi, ad un certo
punto, quando nel sogno si apre la Pomona per vedere Attila, tutte le statuine
sul tavolo si mettono a gemere, qualcuna va in frantumi, la sfera è diventata
incandescente, i capelli di Merdino sembrano di fuoco.
Il mago e Mora si alzano in piedi ad osservare in
trepidazione, i secondi si vedono scorrere uno dopo l’altro rullando a tamburo,
il ritmo accelera, tam tam forsennato all’iperbole che s’alza a testa di serpe
poi tutte le statuine si afflosciano in un magma di putrefazione, la sfera
gonfia di luce ed esplode in uno sbuffo di fuoco col rumore di una bolla di sapone
che scoppia.
Ora sul tavolo sembra il pavimento sotto il posatoio di un
pollaio, Archide si siede con un sospiro, gli occhi agitati che non vedono
risposte ed esclama: “Non ha fatto l’identità, non l’ha fatta…non c’è cascato!
Il sogno non si è chiuso!”
Mora si avvicina a
Merdino, lo scuote, lo scuote ancora poi allarmata gli tocca la giugulare sul
collo, tasta e ritasta ed infine esclama, con voce strozzata: “Il cuore non
batte, è morto!”
Archide si scuote e sbotta: “Non è possibile!”
Mora rimane silenziosa, il mago prende Merdino in braccio e
lo posa sul tavolo poi gli asculta il cuore, gli tasta il polso, prova a
passargli uno specchietto davanti al naso e dice: “Morto, che significa? Morto,
proprio adesso che ogni cosa è stata predisposta…non può essere un caso. Guarda
Mora con odio e ringhia: “Tu, se stata tu, le tue erbe, lo hai ucciso, non
potevi fargli favore più gradito.”
Mora ribatte piccata:
“Impossibile! La pozione che gli ho dato non può averlo ucciso, il motivo deve
essere altro!”
Archide gli fa un massaggio cardiaco poi prova a rianimarlo
con la respirazione bocca a bocca, si interrompe e chiede: “E questo cos’è?”
Infila due dita nella gola di Merdino ed estrae un lungo spillo insanguinato.
Guarda Mora incredulo e continua: “No, tu non puoi essere stata, doveva averlo
lui…ma come ha fatto?” Osserva attentamente lo spillo alla luce e
improvvisamente questo gli svanisce in mano esplodendo come la sfera.
Stupefatto mormora: “Lo ha trovato nel sogno…come è possibile?”
Rimangono un po’ a rimbeccarsi e a fare congetture ed alla
fine Mora dice: “Potrebbe anche essere andata diversamente intanto questo è il
risultato, adesso che cosa facciamo?”
Archide rimane pensieroso qualche secondo e risponde: “Tutto
deve procedere secondo i piani, troveremo un sostituto. Nessuno deve sapere che
è morto, faremo sparire il corpo.”
Prende Merdino in braccio, fa ruotare il tavolo e scende al
piano inferiore poi posa il corpo, si affaccia alla finestra e chiama la
sentinella sul ponte. Questa arriva e Archide gli dice: “Vai a svegliare Zoro,
fai poco baccano, digli di venire subito qui.”
La sentinella va e dopo un po’ ritorna con il capo dei
briganti. Archide la congeda e fa entrare Zoro nel mulino, lo porta davanti al
corpo di Merdino e dice: “È morto, non ha superato la prova.”
Zoro lo guarda e ribatte: “Morto? Non sembri contento, cosa
è successo veramente? Mia figlia ti ucciderà quando lo verrà a sapere.”
“Tua figlia non deve sapere niente, faremo sparire subito il
corpo, chiuderemo quel buco e presto si dimenticherà. Domani dirai a tutti che
gli ho dato una pozione per fargli perdere la memoria e l’abbiamo liberato. È
in gioco la nostra sopravvivenza, spero che tu capisca.”
Zoro lo guarda incredulo e chiede: “Invece non capisco, che
vuol dire?”
Archide, con voce brusca ribatte: “Non fare domande.”
Zoro continua: “Perché? Sei stato il mio maestro, tu mi hai
allevato da bambino e fatto diventare capo dei briganti, per te darei la vita
ma se c’è un pericolo voglio saperlo, è un mio diritto!”
Il mago risponde: “Il pericolo è che tutto il nostro mondo
scompaia, fidati di me.”
Zoro guarda il corpo di Merdino e dice: “La morte di questo
moccioso può avere effetti così catastrofici? Se lo dici tu…per me è meglio
così, stanotte non riuscivo a dormire pensando il pericolo che rappresentava,
avremmo dovuto ucciderlo subito, non so perché mi hai detto di portartelo
vivo.”
“Noi sapevamo da tempo della tresca con tua figlia.”
“Non mi hai mai detto niente!” ribatte Zoro incredulo.
“Noi ascoltavamo le sue parole, lui era in contatto con il
mago della Lunigiana e noi sappiamo perché il nostro fratello lo educava ed
eravamo interessati a come procedeva la sua istruzione. Questo ti deve bastare.
Ora vai a dire alla sentinella di andare a chiamare Zingar poi torna qui e ti
dirò il resto.”
“Farò come vuoi.” mormora Zoro a denti stretti, “Questa storia mi convince poco ma comunque è
morto e non può più rappresentare un pericolo.”
Zoro esce, si sente lo scalpiccio dei suoi passi sulla
spiaggia mentre si allontana sopiti dal rumore della cascata che batte sulle
pale del mulino. Archide avvolge il corpo di Merdino in una coperta poi lo
mette in un grosso paniere e quando Zoro rientra chiede: “La sentinella è
andata”
“Sì”
“Allora facciamo presto, portiamolo fuori.”
Escono col paniere e lo abbandonano alla corrente del
canale. Sotto i luccichii tremolanti che splendono dal soffitto di stelle
riverberando l’acqua di riflessi il paniere si allontana e arrivato al fondo
precipita nello scolo sotterraneo.”
“Pace all’anima sua.” mormora Zoro, poi guarda lo sbocco
della cascata in alto e continua: “Stando a quel che aveva detto fra un po’
dovrebbe tornare da lì.”
Archide lo fissa con occhi
assorti dalle parole, si scuote, afferra Zoro per un braccio e dice: “Torniamo dentro.”
Arriva Zingar, entra nel mulino e dopo un po’ ne esce
insieme a Zoro trasportando un involto dalle dimensioni di Merdino, passano il
ponte informando la sentinella della loro missione e si allontanano verso
l’uscita. Può sembrare un particolare senza importanza ma mentre Zoro non
guardava Archide ha fatto un gesto a Zingar e questi ha risposto assentendo con
occhi muti.
Merdino, dopo l’esplosione della sfera, si sveglia
completamente nudo a cavallo di un asino ritto sulla coda di una pulce tra i
peli della mona di una gatta appisolata su un cuscino vicino ad un caminetto
acceso dove di fronte si vede una finestra dalle tendine rosse aperta su New
York.
“Che ci stiamo a fare qui?” chiede al somaro.
L’asino si mette a saltellare sulla coda della pulce così
leggermente che questa non se ne accorge neppure e risponde: “Rock and roll,
non senti il tempo?”
“Allora stiamo ancora sognando in un altro sogno. Meno
male…” sospira Merdino, “tutte quelle croci cominciavano a
deprimermi, che storia…”
L’asino raglia facendo echeggiare dal culo una sonora scoreggia e continua: “Deprimere
non è, non si può sindacare di come un porcaro amministra i suoi maiali, ognuno
ha i suoi metodi. Il lavoro è perfetto.”
“Però…” mormora Merdino,
“Farmi morire così…sarà vero? forse non l’avrei raccolta la pietra…così
adesso penseranno…”
L’asino mi interrompe con un fischio, fa battere le orecchie
e dice: “Pensare non è, morire nemmeno, la pietra neppure e Me tanto meno.
Adesso sei un concetto puro.”
“Un concetto puro non è!” ribatto preso dal gioco, “Sembra proprio nulla.”
“Nulla non è!” sentenzia il somaro.
“Tu chi sei? Hai detto che non devo chiederlo, è vero, ho
capito, sei il condannato volato via dalle fiamme, sai proprio di fuoco, che ci
fai dentro un asino?”
“Asino non è!”
“Allora sei uno dei figli di Geus che stanno all’inferno.”
“Inferno non è e Geus e figli non sono mai esistiti.”
“Allora…sei uno di quei pezzi di merda che stavano intorno
al merdino!”
In quel momento, come presa dall’ispirazione, la gatta si
gratta nel punto dove c’è la pulce, l’asino l’anticipa e fa un lungo salto
atterrando su un prato pieno di fiori profumati da far venire voglia di
leccarli e farfalle svolazzanti dei più svariati colori con al centro un
laghetto d’acqua imbiancato dalla spuma di una fontana che sprizza sopra di lui
senza toccarlo come sospesa nel vuoto. Intorno alla fontana ci sono altri
undici asini che pascolano, come ci vedono ci corrono tutti incontro ragliando
scoreggiando e scodinzolando ed ognuno si presenta: “Piacere, pezzo di merda!”
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